E lo chiamano decoro. I poveri cacciati dal centro di Torino, dove ieri è morto Mustafa
«A situazioni complesse sono mancate risposte complesse, che non corrispondo al profondo tessuto solidale di Torino». Così Patrizia Ghiani, coordinatrice dell’Area Povertà e Inclusione sociale del Gruppo Abele, commenta l’escalation legalitaria ai danni delle persone senza fissa dimora sotto la Mole. Prima, le dichiarazioni del comandante dei vigili Emiliano Bezzon, che aveva invitato a non fare l’elemosina perché «per loro il centro è un bancomat» e per questo motivo «rifiutano le soluzioni offerte dalla città», poi, le polemiche in consiglio comunale, con l’opposizione di centrosinistra critica nei confronti della politica del decoro «a 5 stelle», fino allo sgombero dei poveri dal centro storico la scorsa settimana. Una ferita aperta.
La polemica è ancora viva come, d’altronde, i problemi (ieri, è morto in un dehors di corso Re Umberto Mostafa Hait Bella, 59 anni, finito in strada dopo aver perso il lavoro). Quest’oggi, in Prefettura, si terrà un tavolo per affrontare l’emergenza senzatetto con un nuovo modello d’accoglienza; saranno presenti il prefetto Claudio Palomba, la sindaca Chiara Appendino e l’arcivescovo Cesare Nosiglia, che alla vigilia del tavolo sprona «a dare il massimo dell’impegno, nel minimo tempo possibile», ma soprattutto «risposte appropriate». Con Patrizia Ghiani facciamo un quadro della questione.
Qual è la situazione a Torino delle persone senza fissa dimora in quest’inverno di freddo e di pandemia?
I numeri sono in linea con gli anni precedenti: sono circa 300 le persone senza dimora in città. Le misure anti Covid hanno ridotto, per esigenze di distanziamento, i posti nei dormitori, ma la città è riuscita a compensarli con altre strutture come il centro di accoglienza invernale di via Traves, che ha 80 posti letto. Complessivamente, però, non ci sono abbastanza posti letto tra i vari centri, ma se anche ci fossero ci sarebbero alcune persone che, per svariati motivi, non li accetterebbero. Necessiterebbero, invece, di un percorso d’aiuto appropriato. Se, però, pensiamo che il problema sia il decoro, significa che abbiamo fallito rispetto ai valori di una società in cui cittadini hanno pari diritti e i poveri sono cittadini come gli altri. Purtroppo gli ultimi episodi hanno fatto sembrare che il problema siano loro e non la povertà. Dobbiamo ancora, tra l’altro, vedere gli effetti della crisi economica, quando, per esempio, ci sarà lo sblocco dei licenziamenti.
Come Gruppo Abele gestite una casa di ospitalità notturna nel quartiere di Barriera di Milano. Quali sono le principali problematiche?
Abbiamo un dormitorio femminile inserito in una rete di servizi coordinata e guidata dal Comune di Torino dove è molto attivo il centro Sad (Servizio adulti in difficoltà). Questo testimonia come le azioni di sgombero non corrispondano al grande lavoro che i servizi territoriali pubblici in collaborazione con il privato sociale e il mondo del volontariato portano avanti. Anche nei pressi del nostro dormitorio, in un quartiere di periferia della città, sostano sotto un porticato diverse persone; ci siamo allora coordinati insieme alla presidente della circoscrizione Carlotta Salerno e ad altre associazioni per provare a proporre percorsi diversi di accompagnamento e di assistenza.
La risposta più rapida è sempre quella legalitaria o di colpevolizzazione della povertà. Perché?
Quando l’obiettivo è rendere invisibile le situazioni di più grave povertà agli occhi della città si calpesta la dignità delle persone. Torino non può accettarlo perché è una citta tradizionalmente solidale che non può dare spazio a soluzioni quanto meno improprie. Non voglio minimizzare la presenza di problemi o di risentimenti, ma certe prove di forza sottolineano come non siano state valorizzate figure di mediazione come, per esempio, i vigili di prossimità. Si tiene più al decoro della struttura che a quello della cittadinanza.
Quali sono le strade e le soluzioni alternative da intraprendere?
Creare tante microstrutture d’accoglienza nei vari quartieri, centro compreso. Anche una mega struttura come quella di via Traves nella periferia, alle Vallette, rischia di non accogliere i bisogni di tutte le persone. Inoltre, bisogna rivedere completamente l’accesso alle case popolari, sburocratizzandolo. Non mancano le case manca un sistema più immediato di accesso.
* Fonte: Mauro Ravarino, il manifesto
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