by Stefano Mauro * | 5 Gennaio 2021 18:45
L’analista Ibrahim Maiga: «Risposta militare finora inefficace, forse è meglio lavorare sulla governance e sul miglioramento delle condizioni di vita nelle aree rurali e di confine»
Almeno 100 civili sono stati uccisi sabato in due villaggi del Niger occidentale, Tchoma Bangou e Zaroumadareye. Secondo la ricostruzione delle autorità locali, un centinaio di miliziani divisi in due gruppi a bordo di motociclette, ha attaccato i villaggi che si trovano a circa 120 chilometri a nord della capitale Niamey, nella regione di Tillabéri, ormai tristemente conosciuta come «terra dei tre confini», vicina al Mali e al Burkina Faso.
IL DUPLICE ATTENTATO, il più sanguinoso nella storia del paese, è stato perpetrato il giorno stesso della proclamazione dei risultati del primo turno delle elezioni presidenziali, che hanno visto il candidato favorito, l’ex ministro dell’Interno Mohamed Bazoum ottenere il 39% dei voti. Nel secondo turno del 20 febbraio affonterà l’ex presidente Mahamane Ousmane, (secondo con il 17%), che si presenterà come candidato unitario di tutte le opposizioni. In un video, Bazoum ha ricordato che «i gruppi terroristici costituiscono una seria minaccia alla coesione all’interno delle nostre comunità e per l’esistenza stessa del Niger», mentre il presidente uscente Mahamadou Issoufou ha convocato un Consiglio di sicurezza nazionale eccezionale «per contrastare la grave minaccia jihadista».
Violenze jihadiste hanno colpito in questi giorni diverse regioni del Sahel, dove il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gism o Jnim) guidato da Iyad ag Ghali, lo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs), lo Stato Islamico dell’Africa Occidentale (Iswap) e Boko Haram combattono per la supremazia nell’area colpendo e uccidendo civili inermi (nel Sahel circa 2mila vittime in soli due anni secondo Human Rights Watch) e militari.
I MILIZIANI DI BOKO HARAM, dopo l’attacco del 21 dicembre in Niger che ha provocato la morte di 34 civili e un centinaio di feriti, ieri hanno preso di mira alcuni villaggi in Camerun, uccidendo almeno tre civili. E sabato nel vicino Mali la forza anti-jihadista francese Barkhane (5mila militari) è stata nuovamente colpita a morte: due soldati, tra cui una donna, sono stati uccisi da un ordigno esplosivo, dopo che il 28 dicembre altri tre erano morti in circostanze simili, portando a 50 il numero dei militari francesi caduti dal 2013.
Lo Jnim ha rivendicato l’attacco parlando di «contrasto alla presenza francese nel Sahel, le vignette blasfeme difese dal presidente Macron la politica del governo francese nei confronti dei musulmani di Francia». Gli attacchi mirano, secondo alcuni analisti, a riaffermare la forza della presenza jihadista nell’area e a minare il clima di collaborazione tra Bamako e Parigi.
DI FRONTE AL PERSISTERE della violenza jihadista, unita ai conflitti intercomunitari, le autorità di transizione del Mali non escludono di «avviare negoziati con gruppi armati locali, affiliati allo Jnim», mentre Parigi ha ribadito più volte di escludere «qualsiasi dialogo con la leadership centrale del gruppo che risponde alla gerarchia di al-Qaeda».
In una recente analisi Ibrahim Maiga, capo ricercatore dell’Istituto di Studi sulla Sicurezza (Iss) di Bamako ha affermato che a livello militare «l’approccio delle fazioni jihadiste rispetto ai civili è di protezione alternata a violenza, sfruttando l’assenza dello stato e la mancanza di sicurezza, oltre che fomentare le divisioni inter-comunitarie per imporsi nel territorio».
«GLI ATTACCHI DI QUESTI GIORNI – ha concluso Maiga – evidenziano quanto alla risposta militare, finora inefficace, sia forse più necessaria un miglioramento dei governi del Sahel in termini di governance, di sicurezza, di lotta alla corruzione e un cambiamento favorevole delle condizioni di vita, soprattutto nelle aree rurali e di confine».
* Fonte: Stefano Mauro, il manifesto[1]
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