National Rifle Association: l’incredibile bancarotta degli armaioli d’America

by Roberto Zanini * | 17 Gennaio 2021 9:56

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Storia e miserie della potente lobby che vanta 15 milioni di iscritti e un solo dio: Samuel Colt

Bancarotta. Sono riusciti a fare bancarotta, i difensori delle libere armi in libero stato. E chissà come diavolo hanno fatto, dal momento che il loro business è il paese che costruisce, vende, possiede e adopera più armi in assoluto nel mondo – inclusi molti stati in guerra. Il paese dove «Dio creò gli uomini ma Samuel Colt li rese uguali».

La National Rifle Association ha presentato i documenti per il chapter 11, la legge che tutela le aziende in crisi che intendono provare a sopravvivere. La richiesta di bancarotta è stata presentata al tribunale fallimentare di Dallas, Texas e se quel tribunale lo permetterà, la Nra si scioglierà a New York per rinascere nello Stato della Stella Solitaria – non è casuale che in Texas abbia 400mila iscritti e che probabilmente nessun giudice texano possa ignorare gli elettori col “ferro” in tasca.

LA NRA SI DEFINISCE la più grande associazione per i diritti civili degli Stati uniti (eh sì, portare un mitra è un diritto civile, almeno per i 5 milioni di tesserati). Certo è la più antica. È un’associazione non-profit e perciò esente dalle tasse federali nonostante giri d’affari enormi: l’ultimo bilancio parla di mezzo miliardo di dollari. E proprio i dollari, maneggiati o spariti, sono il punto dolente. La procura di New York lo scorso agosto ha annunciato un’inchiesta per malversazione contro il boss storico della Nra, Wayne LaPierre, e contro un certo numero di dirigenti.

«Non credete ai nostri nemici», ha scritto ieri mister LaPierre agli iscritti. La “bancarotta” serve solo per squagliarsela da New York «e ricominciare lontano da un’ambiente politicamente tossico» nel quale «il procuratore generale ha cercato di buttarci fuori dal business abusando dei suoi poteri».

Era da 150 anni che la Nra risiedeva a New York, dove è nata. Finita la guerra di secessione gli americani guardavano a Ovest. E Samuel Colt, che aveva già riempito le armerie unioniste dei suoi rivoluzionari prodotti – aveva regalato un centinaio di pistole e fucili persino a Garibaldi per i Mille, naturalmente in cambio di un generoso acquisto successivo – perfezionò il celebre revolver che aveva spazzato via le armi ad avancarica (nel tempo di ricarica dei moschetti «un indiano scaglia sei frecce – diceva la pubblicità – o percorre 400 yarde con coltello e tomahawk»).

Era nata la Colt Single Action Army, che con il Winchester a leva sarebbe stata l’arma d’elezione del Far West. Ed era nata, nel 1871, la National Rifle Association, inizialmente per insegnare agli americani a usare quei meravigliosi schioppi a ripetizione, poi per aumentarne il numero dei proprietari in una favolosa equivalenza tra porto d’armi e democrazia. La frase su Dio, gli uomini e il colonnello Colt viene da una pubblicità ottocentesca ancora oggi serigrafata sulle pistole da collezione – e su milioni di magliette e cappellini.

A METÀ ANNI SESSANTA Lyndon Johnson favorì una legge sulle armi. Orrore: la Nra rispose buttandosi a destra, nel 1980 fece campagna per Reagan e da allora è un bastione repubblicano che con Trump ha conosciuto l’interlocutore perfetto. Fino a quando le stragi diventano troppe per poterle ignorare. La goccia decisiva fu la scuola di Columbine, in Colorado, dove nel 1999 due liceali mitragliarono 12 compagni e poi sé stessi – il successivo Bowling for Columbine di Michael Moore, documentario del 2002, aprì un dibattito che non si è mai più del tutto chiuso. Perché negli Usa circolano un centinaio di migliaia di miliziani come quelli visti in Campidoglio e, a seconda delle stime, da 270 a 310 milioni di armi leggere – ma ci sono anche almeno 5 milioni di fucili d’assalto Ar-15, i preferiti dagli psicopatici, l’arma con cui il 16enne Kyle Rittenhouse uccise due persone durante una manifestazione di Black Lives Matter.

L’accusa viene dal procuratore generale di New York, Letitia James, è che nelle capaci tasche di Wayne LaPierre, di tre executives e di parecchi loro familiari siano spariti milioni e altri siano stati usati per comprare il silenzio di dirigenti scontenti.

NERA, DEMOCRATICA DI SINISTRA, “Tisha” James è una che di armi sa qualcosa: deve il suo posto in procura al brillante mandato come consigliere comunale, e doveva il suo posto di consigliere al fatto che il predecessore era stato abbattuto a colpi di pistola dentro il municipio stesso, non da un matto ma da un avversario politico, a sua volta abbattuto sul posto. Ha indagato per un anno e mezzo e a quattro mesi dalle elezioni ha accusato LaPierre, il consigliere generale John Frazer, l’ex capo dell’ufficio finanze Woody Philips e il capo dello staff Joshua Powell di un’infinità di appropriazioni. Dalle triplicazioni degli stipendi nel giro di tre anni a generosi pacchetto post-occupazione (17 milioni di dollari quello di LaPierre), e poi viaggi alle Bahamas, vestiti firmati, jet privati, vacanze, ristoranti e alberghi da 12mila euro a notte, 3,6 milioni di dollari solo per le auto a nolo, “consulenze” per sé e per figli, mogli e fidanzate (una costava 30mila dollari al mese)… Totale, 64 milioni. Roba che il simulatore di golf da 50mila dollari installato da Trump alla Casa Bianca erano spiccioli.

INVISCHIATA NEI GUAI economici e legali, impigliata nei ricatti – se ne andò schifato persino Oliver North, il colonnello dell’Irangate che scambiava cocaina per armi, non uno schizzinoso – la Nra ha fallito nella sua attività ufficiale: far eleggere i difensori delle pistole. Oltre alla sconfitta di Donald Trump, sono rimasti per strada anche molti deputati e qualche senatore, e più di uno incolpa mister LaPierre dello scarso aiuto ricevuto mentre lui si ingozzava. Cosa che fa della Nra un altro pezzo di trumpismo in crisi da fine regime.

Perché Samuel Colt avrà anche reso gli uomini uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

* Fonte: Roberto Zanini, il manifesto[1]

 

ph by LeftPolemicist, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

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  1. il manifesto: https://ilmanifesto.it/

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