Covid. Derogare ai brevetti: «Contro il nazionalismo vaccinale dei paesi ricchi»
Pubblicate le stime dell’Fmi: per l’Italia taglio della crescita nel 2021, la ripresa è a rischio. In prospettiva, nel paese più malmesso nel G7 si prospetta una crisi di sistema
Al forum di Davos che si sta svolgendo online ieri il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha accusato i paesi ricchi di praticare un «nazionalismo vaccinale», perché si sono accaparrati la maggior parte dei vaccini contro il covid-19. «I paesi ricchi del mondo hanno acquistato grandi quantitativi di vaccini. Alcuni ne hanno comprato quattro volte in più della loro popolazione» – ha detto Ramaphosa nel suo intervento – Non potremo essere sicuri se alcuni paesi vaccineranno i loro cittadini e altri no. Dobbiamo tutti combattere assieme contro il virus». Ramaphosa ha esortato a condividere il surplus delle dosi accumulate in un’ottica di redistribuzione e giustizia.
LA PRESA DI POSIZIONE contro i paesi accaparratori è già avvenuta il 2 ottobre 2020 quando il Sud Africa, insieme all’India, hanno chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio di derogare ai brevetti e agli altri diritti di proprietà intellettuale esistenti sia sui vaccini in corso di approvazione e di commercializzazione, sia sui farmaci, i dispositivi di protezione personale e le altre tecnologie mediche necessarie per curare la polmonite interstiziale. E questo fino a quando non sarà raggiunta un’immunità di gregge in tutti i paesi colpiti dalla pandemia in modo tale da bloccare la diffusione massiva del virus in tutto il mondo, e non solo nei principali scacchieri geo-economici che si illudono di bloccarlo immunizzando solo la propria popolazione.
LA LOTTA CONTRO il «nazionalismo vaccinale» è anche contro le restrizioni della proprietà intellettuale e i costi dei prodotti delle multinazionali che stanno affrontando gravi problemi di produzione di un bene comune attualmente scarso. Fino ad oggi il Sudafrica è il paese africano più colpito dalla pandemia perché ha registrato 1,4 milioni di contagi e 40 mila morti. Il suo obiettivo è vaccinare almeno 40 dei 60 milioni di abitanti. Un decimo delle dosi dovrebbe arrivare dal programma Covax stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità. Un milione dovrebbero arrivare invece dall’India.
LA SOCIALIZZAZIONE dei brevetti potrebbe produrre un effetto virtuoso sulla produzione dei vaccini, oltre che sulle tecnologie industriali necessarie, evitando il problema che sta affrontando in questi giorni l’intera Unione Europea: la discrezionalità delle multinazionali del capitalismo farmaceutico. La presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen ha esplicitato il problema nel suo intervento online, anche se ha prospettato una soluzione diversa, invitando Pfizer o AstraZeneca al rispetto dei contratti con i quali l’Unione Europea si è accaparrata le proprie dosi: «Abbiamo investito miliardi per contribuire allo sviluppo dei primi vaccini contro il Covid-19. Per creare un vero bene comune globale. E ora, le compagnie devono fare la loro parte. Devono onorare i loro impegni». In questo caso il «bene comune globale» sembra ritagliato sugli europei e non anche sulla vita degli altri. Ieri Von Der Leyen ha annunciato la creazione di un «programma di bio-difesa» per affrontare le pandemie. «Dobbiamo essere pronti, non possiamo aspettare la prossima» ha detto.
TUTTO UN PROGRAMMA sono state alcune affermazioni della Cancelliera tedesca Angela Merkel. Con la pandemia di Covid «E’ emersa la nostra vulnerabilità« ha detto nel suo intervento. «In qualche modo questo virus è stato trasmesso dagli animali agli esseri umani che ci mostra ancora una volta che siamo parte del nostro habitat naturale». E poi la tesi che riflette lo sconcerto delle classi dominanti rispetto al rapporto tra il sistema capitalistico e le conseguenze devastanti sul mondo «Abbiamo tante conoscenze scientifiche e tecnologiche ma ancora dipendiamo dalla natura» ha detto Merkel sottolineando che «questo ha conseguenze». E’ in quell’«ancora» che emerge l’antropocentrismo e, soprattutto, lo choc che ha subito dal fatto che l’uomo capitalista non controlla un mondo dopo averlo trasformato in una fattoria globale dove la monocultura di animali da consumo e la distruzione di ecosistemi permettono la trasmissione di virus sempre più aggressivi dalla Cina, e non solo, ovunque. All fine Merkel ha usato il concetto neoliberale passepartout che va molto di moda tra le élite europee, quello di «resilienza». La pandemia ha «testato la resilienza del nostro sistema, della nostra società« e, allo stesso tempo, ha «mostrato le falle e le debolezze».
RESILIENZA significa che questo «sistema» si deve adattare al capitale che produce e trasmette anche le pandemie, non individuare le cause e sradicarle modificando il sistema di produzione dell’agribusiness. Sul significato della parola «resilienza», cioè adattamento e non «resistenza» (cioè l’atteggiamento opposto), si gioca anche il significato politico del piano «RecoveryFund/Next Generation Ue». Di solito, la differenza non è minimamente compresa da tutti gli attori politici e da gran parte di quelli che aderiscono al consenso neoliberale. Si tratterebbe di partire da qui per mettere in discussione il sistema che produce i virus e che poi invita ad adattarsi ad essi.
MERKEL ha, infine, ribadito la sua fiducia nell’Italia, anello debole dell’Europa, sul quale ha fatto una scommessa. Nel giorno delle dimissioni di Conte da palazzo Chigi ha detto che «la presidenza italiana del G20 di quest’anno ha un ruolo cruciale da svolgere e so che l’Italia sta lavorando in questa direzione». Anche se a Roma, al momento, non c’è più nessuno che guida la barca, si vede che le fonti tedesche sono ben informate. O questo è un altro modo per ribadire le pressioni su un progetto – il Recovery Fund, la «maggioranza Ursula» – messi alla prova dalla crisi che è esplosa. Ieri Conte, dimissionario, ha dovuto annullare il suo discorso a Davos.
NELLA GIGANTESCA PARTITA POLITICA che si sta giocando per proteggere questo sistema, permettendogli di sopravvivere e continuare ad alimentare le cause che lo sconvolgono, è certamente decisivo l’esito dello scontro tra aggregati politici continentali, e tra questi con i nuovi pilastri del Big Pharma. Questo scontro è innescato dalle previsioni sempre incerte sulla cosiddetta ripresa economica dei mercati sia finanziari che manifatturieri tra il 2021 e il 2022.
IN UN QUADRO INCERTO in cui aumenterà disoccupazione e povertà il capo economista del Fmi Gita Gopinath ha scritto sul suo blog che «è necessario agire rapidamente per un ampio accesso ai vaccini e medicinali» contro il Covid per «correggere le profonde disuguaglianze che esistono al momento». In questa ottica i vaccini svolgono un ruolo nel bloccare la perdita del Pil mondiale stimata a 22 mila miliardi di dollari per il 2020 -2025 rispetto ai livelli previsti pre-pandemia. Gopinath osserva che «i nuovi ceppi virali ci ricordano che la pandemia non sarà finita finché non sarà debellata ovunque», i «progressi più rapidi verso la fine della crisi sanitaria potrebbero aumentare il reddito globale cumulativamente di 9 mila miliardi di dollari nel 2020-25, con benefici per tutti i paesi, inclusi circa 4 mila miliardi nelle economie avanzate». E’ questo l’obiettivo della corsa al vaccino, dunque alla ripresa, dominata da un lato dall’industria farmaceutica e dall’altro lato dagli Stati dominanti.
L’ITALIA, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale pubblicate ieri, è il paese che crescerà meno nel 2021 nel G7 e avrà una ripresa più lenta: l’anno scorso era a meno 9,2 nel 2021 a +3% con un taglio di 2,2% rispetto alla stima precedente. La Cina registrerà quest’anno una crescita dell’8,1%, gli Usa +5,2%, l’Eurozona è data al 4,2% con la Germania in testa. «Resta molto da fare sul fronte della sanità e delle politiche economiche per limitare un danno persistente dalla severa contrazione del 2020 e assicurare una sostenuta ripresa». Il Fmi ha ribadito l’importanza degli aiuti all’economia fino a una normalizzazione, a tutelare i più deboli e accelerare la necessaria transizione a una minore dipendenza dal carbone. Resta da capire quanto manca all’esplosione della crisi che il metadone finanziario usato dagli stati – e finanziato dalle banche centrali – ha bloccato. In Italia la crisi è già iniziata (e forse non è mai finita quella precedente). I dati economici potrebbero essere peggiorati dalla crisi politica esplosa sulla governance del Recovery Fund. La crisi è di sistema, può avere esiti imprevedibili.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto
ph by ITU Pictures from Geneva, Switzerland, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
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