by Simone Scaffidi, Gianpaolo Contestabile * | 15 Gennaio 2021 11:27
«Said era in grado di immaginare un mondo in cui l’eredità del colonialismo potrebbe finire e un rapporto di uguaglianza nella differenza potrebbe prendere il suo posto nelle terre della Palestina. Capiva che il lavoro dell’immaginazione è centrale per la politica, senza una visione “irrealistica” del futuro, non si potrebbe fare alcun movimento nella direzione di una pace fondata su una giusta e duratura soluzione». Con queste parole la filosofa Judith Butler racconta Edward Said, autore di Orientalismo e uno dei maggiori critici dello sguardo colonialista nella cultura occidentale.
Mario Paciolla deve aver letto Said o perlomeno deve essere entrato in contatto con il suo pensiero se a Ramallah, come ricorda Alessia Carnevale, amica e collega, le chiede di fargli una foto con il suo idolo. «Fammi una foto con Edward Said!», Mario sorride e alza gli indici al cielo a indicare il cartello che recita “Edward Said Street”. Alessia scatta, è il 2015, e oggi, cinque anni dopo, partendo da quella foto, ricorda: «Mario, ogni volta che esprimevo preoccupazioni per il mio, per il nostro futuro, incerto, precario, mi rassicurava dicendo che stavamo percorrendo una strada, e il percorso si sarebbe fatto da sé, si sarebbe sciolto davanti ai nostri passi, camminando».
«Mario si era impegnato in progetti sociali in Giordania, in India, a Palermo, in Argentina e stava lavorando in Colombia da quattro anni» ricordano Davide Del Prete e Simone Campora, amici di Mario e fra gli animatori del comitato informale Giustizia per Mario Paciolla. «Aveva una professionalità e un’esperienza solida, questo deve essere raccontato». Stava lavorando con la Missione Onu di Verifica degli Accordi di Pace quando il 15 giugno è stato ritrovato impiccato nella sua casa di San Vicente del Caguán in circostanze ancora da chiarire.
All’indomani della morte violenta di Mario Paciolla gli amici e le amiche si sono organizzate per mantenere viva la sua memoria e rendere pubblica la sua storia. È stata celebrata una commemorazione pubblica che ha visto la presenza e l’impegno nella ricerca della verità del presidente della Camera, il ministro degli Esteri e il sindaco della città di Napoli. Hanno organizzato «vere e proprie assemblee popolari partecipate», come racconta Davide Del Prete, «ci ospitava l’ex Asilo Filangieri, purtroppo dopo l’estate a causa della pandemia ma anche per il fatto che non potessero uscire nuove informazioni per il segreto istruttorio, si sono fermate». Dal comitato informale Giustizia per Mario Paciolla sono state attivate anche piattaforme social, facebook, twitter e instagram per ricordare Mario, è stata lanciata una petizione su Change.org e un sito internet dove si raccolgono alcuni articoli scritti in diverse lingue sulla vicenda giudiziaria.
Quel lavoro di immaginazione necessario per trasformare il presente, quell’utopia della pace evocata da Butler in relazione al pensiero di Said, sembra essere stata, leggendo gli articoli di Mario e ascoltando le voci di chi lo ha conosciuto, una componente centrale del suo percorso professionale. «È stato un amico, una persona importante che ci è stata vicino e per questo continua a remare con noi» ricorda Carlos Aries García, coordinatore dell’agenzia turistica Caguán Expeditions formata da ex guerriglieri e membri delle comunità locali, in occasione del festival Remare per la Pace, uno dei progetti a cui Mario Paciolla ha collaborato durante il suo incarico presso la Missione Onu di Verifica degli Accordi di Pace in Colombia.
Il Festival è stato raccontato[1] dal servizio di Valerio Cataldi, mandato in onda da Rai News il 18 dicembre 2020, nel quale riemergono le contraddizioni che avvolgono le indagini parallele svolte alle autorità colombiane e dalla Procura di Roma e i risultati potenzialmente discordanti delle autopsie svolte in Colombia e in Italia ancora protetti dal segreto istruttorio. Viene inoltre confermato il silenzio dell’Onu, la preoccupazione dei colleghi di Mario e si segnala la rapidità con la quale le Nazioni unite hanno classificato come suicidio la morte del lavoratore italiano nonostante siano ancora in corso le indagini per omicidio.
Sono passati sei mesi dalla morte violenta di Mario Paciolla, la famiglia e gli amici, in attesa dei riscontri giudiziari, continuano ad alimentarne la memoria anche attraverso ricordi che possono farci comprendere meglio quella strada, evocata dall’amica Alessia Carnevale, che ha portato Mario fino in Colombia. In un video risalente al 2008, incluso nella campagna Outing Civile lanciata da Sabina Guzzanti, Mario appena ventenne recita una poesia, citando «nu car compagn nuost», Massimo Troisi, capace con la sua ironia dissacrante di sfidare anche la morte. Mario conclude la poesia con un invito alla vita e alla resistenza: «Student ‘e Napoli, assieme ‘e frat ro’ stival: Primm ‘e murì vulimm campà».
A vita è comme na minestra
e nun ridr ‘o sce’, ch’è capit bbuon
cchiù sapè, conoscenza, lingue, colori e fantasia
c’è cchiav a int
‘e cchiù luong s’ po’ apparecchià ‘o mesal pe’ cumpagn
si sì insipd e pezzot
solo o taut t pò esser amic
– “Ricordati che devi morire”
– “Aspe’ ca’ mo’ mo segn”
ricett nu car compagn nuost nu poc’ e tiemp fà
nuje dicimme:
– “Student ‘e Napoli, assieme ‘e frat ro’ stival: Primm ‘e murì vulimm campà”
La vita è come una minestra
e non ridere scemo, che hai capito bene
più sapere, conoscenza, lingue, colori e fantasia
ci metti dentro (li mischi insieme)
e più lunga si può apparecchiare la tavola per i compagni
se sei insipido e falso
solo la bara ti può essere amica
– “Ricordati che devi morire”
– “Aspetta che me lo segno”
disse un nostro caro amico un po’ di tempo fa
noi diciamo: “Studenti di Napoli, insieme ai fratelli dello Stivale: Prima di morire vogliamo vivere!”
* Fonte: Simone Scaffidi, Gianpaolo Contestabile, il manifesto[2]
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