by Vandana Shiva * | 31 Dicembre 2020 9:53
Milioni di contadini in questi giorni protestano oggi lungo le strade di Delhi per chiedere al governo di cancellare le cosiddette «Farm Bills», le nuove leggi approvate per deregolamentare il mercato agricolo.
Si tratta di un’iniziativa del governo che fino ad ora ha ignorato i sindacati, che rappresentano circa 650 milioni di lavoratori del settore, e che è nell’interesse delle grandi aziende agroalimentari.
Le cosiddette «Farm Bills» sono in realtà «Food System Bills».
Esse infatti determineranno la produzione alimentare, i redditi degli agricoltori, i prezzi dei prodotti alimentari, e avranno un impatto sui suoli, sulla biodiversità e sulle risorse naturali mettendo in pericolo un sistema di regolamentazione che, da 70 anni, protegge le piccole aziende agricole, i mezzi di sussistenza dei piccoli agricoltori e la sovranità alimentare del Paese.
Se non saranno abrogate, distruggeranno quello che, ancora oggi, è il più grande sistema alimentare del mondo.
L’iniziativa del governo non è una sorpresa. Al contrario, il tentativo di deregolamentare il settore agricolo indiano è vecchio quanto Navdanya, creata più di 30 anni fa, proprio per fermare l’avanzata delle multinazionali. La Banca Mondiale e le multinazionali hanno cercato di introdurre leggi per smantellare la sovranità alimentare dell’India sin dall’aggiustamento strutturale del 1991. Per 30 anni abbiamo fermato queste leggi. Le nuove leggi incarnano la spinta verso la globalizzazione in nome del libero commercio e della competitività, perpetuando l’illusione neoliberale che il mercato si regola da solo, mentre invece le conseguenze per le economie locali e i piccoli agricoltori sono devastanti. Questo tipo di libertà è utile solo per le imprese e conduce alla distruzione del tessuto ecologico della Terra – del tessuto delle economie e delle società delle persone.
La deregolamentazione del commercio è stata spinta fin dall’inizio del Gatt e dell’Omc, dove le regole sono state scritte dalle imprese multinazionali per ampliare la loro libertà di mercificare e privatizzare la terra, l’acqua, le sementi, il cibo, l’informazione, i dati e la conoscenza. Si tratta della fine delle economie reali in cui i produttori indipendenti si scambiano e vendono beni a prezzi equi e giusti. Sulla stessa linea, l’adeguamento strutturale della Banca Mondiale ha iniziato a smantellare nel 1991 il sistema di sicurezza alimentare indiano. Eliminando le leggi che regolano i mercati, i prezzi e la detenzione delle scorte, ha distrutto i mezzi di sussistenza dei contadini, il diritto della gente al cibo e lo stesso concetto di cibo come bene pubblico, al fine di creare un libero mercato per gli alimenti industriali.
Le radici della crisi agraria contemporanea affondano in cinquant’anni di rivoluzione verde ad alta intensità chimica, ad alta intensità di capitale, basata sulla monocoltura, e in 20 anni di globalizzazione, che ha trasformato l’agricoltura indiana in un mercato per sementi e input chimici costosi e un fornitore di materie prime a basso costo. Nel corso di trent’anni, il lavoro della Navdanya Biodiversity Conservation Farm e dell’Università della Terra ha contribuito alla conversione biologica di oltre 200 mila ettari di terreno e ha creato la più grande rete di commercio diretto, equo, solidale e biologico del paese. La lotta dei contadini in India è per il futuro comune dell’umanità. Avremo un futuro di cibo artificiale senza agricoltori, senza diversità, senza democrazia alimentare? O un futuro di cibo sano prodotto da veri agricoltori che si prendono cura della nostra salute e della salute del pianeta?
* Fonte: Vandana Shiva, il manifesto[1]
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