Il gasdotto Nord Stream 2 continua ad avanzare in Germania, a dispetto degli USA

Il gasdotto Nord Stream 2 continua ad avanzare in Germania, a dispetto degli USA

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STRALSUND. Mancano solo gli ultimi 120 chilometri per completare il gasdotto destinato a scatenare la “guerra” del Baltico fra la Germania di Angela Merkel e gli Usa di John Biden. E così, fra pochi mesi, Berlino e Mosca inaugureranno il raddoppio del Nord Stream, alla faccia di Washington e Bruxelles. Proprio nel momento in cui i cantori dell’“atlantismo” si spolmonano per raccontare la «storica svolta» nelle relazioni bilaterali post-Donald Trump.

Al di là dell’Oceano, sul tavolo dei veri addetti alla geopolitica, la propaganda vale meno di zero. Gli 11.900 soldati americani ritirati dalle basi tedesche a luglio non torneranno mai più, e gli Stati uniti continueranno a pretendere che la ministra Annegret Kramp-Karrenbauer versi alla Nato l’equivalente del 2% del Pil tedesco, come prevede l’accordo fra i partner dell’alleanza. La tradizionale amicizia fra Germania e Usa? Teoricamente resta fuori discussione. In realtà, invece, è sospesa a tempo indeterminato da quando sono ripresi i lavori del gasdotto interrotti 12 mesi fa a causa delle sanzioni americane. L’ultima scintilla, in grado di trasformare il conflitto da caldo a bollente.

Giovedì 3 dicembre, Stralsund, porto del Mecleburgo-Pomerania affacciato sul Baltico, che per i tedeschi rimane il «Mare dell’Est». L’avviso dell’Autorità marittima appeso in tutte le bacheche è di massima urgenza: riguarda qualunque tipo di naviglio in transito a largo della vicina isola di Rügen. Fino a fine anno vige il divieto di pesca e ancoraggio perché dal 5 dicembre la zona sarà di nuovo battuta dalle navi-posacavi impegnate a saldare la pipeline lunga 1.230 chilometri.

Di fronte a Rügen, si staglia l’altra isola-chiave del Nord Stream: Bornholm, piantata esattamente in mezzo al braccio di mare condiviso da Germania, Polonia e Svezia da cui dista appena 37 chilometri. Formalmente è territorio danese, il lembo più orientale amministrato da Copenhagen: un avamposto strategico dai tempi dei Vichinghi. All’ancora, fino a ieri, sostavano le due navi svizzere bloccate dall’embargo Usa. Prima che anche il governo della Danimarca decidesse di riprendere la posa del condotto rientrando, come la Germania, nel mirino americano.

Venerdì 4 dicembre, Washington: all’attenzione del Congresso spicca il disegno di legge “Politica di difesa 2021”. Nella bozza finale spunta il Nord Stream 2, che deve essere fermato con le sanzioni da prolungare e soprattutto estendere a tutti i “complici” di Mosca. Una mazzata economica per 120 aziende di 12 Paesi: colpisce le imprese direttamente coinvolte nella costruzione ma anche gli armatori delle navi incaricate di spostare le rocce sul fondale, le compagnie di assicurazione e perfino chi ispeziona o certifica il cantiere sottomarino.

Eppure i lavori non si fermano. La Germania non può permettersi di perdere la valanga di gas che servirà a sostituire il nucleare nel 2022 e il carbone nel 2030, e il business vale 10 miliardi di euro. Tradotto, significa volumi garantiti per Berlino al di là delle bizze del mercato o dei capricci politici di chi può chiudere i rubinetti del tubo in Ucraina. Per questo il governo del Mecleburgo-Pomerania ha annunciato ufficialmente che «proteggerà» con tutti i mezzi le aziende sanzionate dagli Usa. Ma per lo stesso motivo il gasdotto è stato adeguatamente “blindato” in epoca non sospetta, sotto tutti i punti di vista.

Due uomini influenti, inseriti negli ambienti giusti, formano il vertice della grande piramide del Nord Stream 2. Il primo è Gerhard Schröder, cancelliere federale dal 1998 al 2005 ed ex segretario Spd. Dal 2016 siede nel board della società di gestione del gasdotto controllata da Gazprom, mentre dal 2017 è anche l’indipendent-director nel cda del colosso petrolifero russo Rosneft con stipendio di 350 mila dollari annui. Ma la sua vocazione “energetica” nasce molto prima.

Il 24 ottobre 2005 (28 giorni prima di lasciare la cancelleria) il suo governo assicura la copertura di 1 miliardo al gasdotto come garanzia sull’eventuale insolvenza di Gazprom. Subito dopo le dimissioni diventa capo del comitato degli azionisti del Nord Stream, tra le proteste dell’opposizione al Bundestag e l’accusa di «prostituzione politica» di Tom Lantos, presidente (democratico) della Commissione esteri Usa.

Il secondo uomo si chiama Matthias Warnig: è l’amministratore delegato del Nord Stream e un fedelissimo di Vladimir Putin. Vanta un curriculum davvero eccezionale: ex agente della Stasi dal 1974 al 1990 con il nome in codice “Arthur” (anche se lui ha sempre negato) prima di passare al vertice di Dresdner Bank, Bank Rossija, Rosneft, Transneft e Gazprom-Schweiz, fino al consiglio di sorveglianza della squadra di calcio Schalke 04. Un’altra pedina fondamentale nel Grande Gioco sottomarino tra Germania e Usa, arrivato veramente alle battute finali.

* Fonte: Sebastiano Canetta, il manifesto



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