by Chiara Cruciati * | 5 Dicembre 2020 10:26
Sono giorni intensi per l’Egyptian Initiative for Personal Rights, anche se non è una novità: nei suoi 18 anni di storia l’ong egiziana ha vissuto più di un periodo buio. A volte squarciato da un po’ di luce: giovedì sera sono stati rilasciati i suoi tre dirigenti arrestati uno dopo l’altro a metà novembre, a pochi giorni dall’incontro che avevano avuto con 14 rappresentanti diplomatici europei.
Dopo 15 giorni di cella, l’accusa di terrorismo e diffusione di notizie false e la mobilitazione diplomatica italiana ed europea e pure di Hollywood con il videomessaggio di Scarlett Johansson, sono tornati liberi il direttore esecutivo Gasser Abdel Razek, il responsabile amministrativo Mohamed Basheer e quello per la giustizia penale Karim Ennarah.
Gli arresti erano stati solo l’ultimo atto in ordine di tempo contro l’organizzazione, impegnata dal 2002 a proteggere le libertà fondamentali attraverso ricerche e cause legali. Il primo dicembre era toccato ai suoi asset: come riportato martedì nel sito[1], la Corte d’appello di Tora sta valutando la richiesta della procura di congelare i conti di Eipr come «misura precauzionale» nell’ambito del caso n. 885/2020, una delle più recenti maxi inchieste per terrorismo aperte con il solo fine – denunciano gli attivisti – di colpire le organizzazioni per i diritti umani attive nel paese. Sui conti di Eipr la corte si esprimerà domani.
È prevista invece per oggi una nuova udienza – a sorpresa – per la scarcerazione di Patrick Zaki, ricercatore dell’ong, in carcere dal 7 febbraio scorso. Per il giovane studente dell’Università di Bologna l’ultimo rinnovo[2] della detenzione preventiva era stato emesso il 22 novembre scorso, per 45 giorni: la successiva udienza era attesa per il prossimo gennaio.
Eipr non si sbilancia, non è chiaro perché sia stata anticipata né se si tratti di un buon segno, alla luce del rilascio dei dirigenti dell’ong: «Si spera di completare la scarcerazione dei nostri colleghi con la sua rimessa in libertà», si limita a scrivere in un post su Facebook.
Una speranza che si riaccende a ogni udienza e che si tinge di rinnovata urgenza dopo la visita in cella[3] della sua legale Huda Nasrallah, lo scorso mercoledì. Era la prima volta. Hanno parlato e Patrick le ha chiesto di poter ricevere una pomata per la schiena e una cintura di sostegno: dall’arresto dorme a terra e i dolori sono diventati insopportabili.
Una denuncia che lo studente non aveva mai mosso e che ha preoccupato la famiglia, soprattutto in vista dell’inverno e delle temperature delle carceri egiziane, in cui i detenuti sono costretti in condizioni igieniche pessime, tra sovraffollamento e scarso ricircolo d’aria.
Nelle stesse ore di mercoledì, 2 dicembre, l’Eni firmava nuovi accordi con l’Egitto, la società spagnola Naturgy e due compagnie petrolifere e di gas naturale egiziane (la Egpc e la Egas): al centro dell’intesa sta il riavvio dell’impianto di liquefazione di Damietta entro marzo 2021.
L’impianto di Damietta – fermo dal 2012 – ha una capacità di 7,56 miliardi di metri cubi l’anno: «Gli accordi di oggi – si legge nel comunicato stampa della compagnia italiana – consentono di rafforzare gli obiettivi strategici di Eni in termini di crescita del portafoglio Gnl, in particolare in Egitto dove Eni è il principale produttore di gas».
Gli accordi tra Italia ed Egitto, dunque, non si fermano come non si sono fermati in passato, mentre ieri si concludevano i due anni di indagini preliminari della Procura di Roma sull’omicidio di Giulio Regeni. Come già annunciato, Piazzale Clodio chiederà il rinvio a giudizio di cinque membri dei servizi segreti egiziani.
Nei giorni scorsi il procuratore capo Prestipino ne ha discusso in videoconferenza con il procuratore generale egiziano al-Sawi. Il Cairo non si muove e «avanza riserve sulla solidità del quadro probatorio», definendo le prove «insufficienti» a individuare l’autore materiale dell’omicidio, si legge nella nota congiunta emessa al termine del vertice.
E insiste con la stessa bugia di quattro anni fa, che costò la vita a quattro egiziani innocenti: per al-Sawi ci sono «prove sufficienti nei confronti di una banda criminale accusata di furto aggravato degli effetti di Regeni».
* Fonte: Chiara Cruciati, il manifesto[4]
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