by Michele Giorgio * | 16 Dicembre 2020 9:02
GERUSALEMME. Il dottor Ali Abed Rabbo getta acqua gelata sul cauto ottimismo generato in Cisgiordania dalle voci dell’arrivo, già a primi di gennaio, di 150mila dosi del vaccino russo Sputnik V. «Non ho conferma di ciò che riportano i giornali locali» dice al manifesto Abed Rabbo, direttore generale del ministero della sanità palestinese per i servizi di emergenza. «Potrebbero arrivare – aggiunge – un numero limitato di dosi nel quadro del Covax Facility, il programma dell’Oms che garantisce l’accesso equo ai vaccini. E le useremo per vaccinare il personale medico e, speriamo, un po’ delle persone più esposte alle conseguenze gravi del Covid-19. Se invece parliamo dei quattro milioni di dosi di cui ha scritto qualcuno, posso solo dire che si tratta di voci. Se e quando potremo vaccinare la popolazione di Cisgiordania e Gaza al momento non lo sa nessuno».
La situazione di incertezza che regna nei Territori palestinesi occupati riguardo la possibilità di vaccinare gli oltre tre milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e i 2,2 milioni a Gaza, conferma l’allarme lanciato da varie istituzioni ed ong internazionali in questi ultimi mesi. I paesi ricchi sono riusciti accumulare dosi sufficienti a vaccinare più volte entro il 2021 la loro intera popolazione mentre in quelli più poveri, nella migliore delle ipotesi, sarà vaccinata 1 persona su 10. Senza dimenticare le differenze sull’efficacia dei vari vaccini che potrebbero emergere in futuro. Così nel piccolo territorio in cui vivono israeliani e palestinesi, i primi a partire dal 23 dicembre saranno immunizzati con il vaccino «tecnologico» della Pfizer-BioNtech – il governo Netanyahu si è assicurato milioni di dosi anche del vaccino sviluppato dalla Moderna -, i secondi invece, se tutto andrà bene, riceveranno il vaccino tra alcuni mesi e con ogni probabilità quelli più a buon mercato come lo Sputnik e il cinese Sinopharm.
«Il governo palestinese è in trattativa con tutte le case farmaceutiche, anche con la Pfizer, e speriamo che si possano ottenere dei risultati al più presto» riferisce il dottor Abed Rabbo. Allo stesso tempo, aggiunge, «dobbiamo considerare le nostre difficoltà logistiche. Il vaccino della Pfizer deve essere conservato a temperature estremamente basse e non abbiamo la capacità di immagazzinarne grandi quantità». Inoltre c’è la complessità sul terreno frutto dell’occupazione militare israeliana. I palestinesi non hanno uno Stato e confini che possono gestire in piena indipendenza. Perciò non è chiaro da dove i vaccini entreranno nelle aree amministrate dall’Anp in Cisgiordania, se per il valico di Allenby con la Giordania o attraverso l’aeroporto di Tel Aviv. Stesso interrogativo per Gaza, le dosi passeranno per i valichi con Israele o arriveranno dall’Egitto? E se il sistema sanitario in Cisgiordania appare abbastanza pronto a una ampia campagna di vaccinazioni, quello malandato di Gaza è sempre più in affanno e, con ogni probabilità, avrà bisogno di assistenza internazionale. Una infinità di problemi di cui la ministra della sanità Mai Al Keile (ex ambasciatrice a Roma) ha discusso ieri con il direttore locale dell’Oms, Gerald Rockenshwab.
In attesa dell’arrivo, chissà quando, dei vaccini, l’Anp in Cisgiordania e l’esecutivo di Hamas a Gaza non riescono a frenare la curva dei contagi. Ieri tra i palestinesi si sono registrati 2307 nuovi casi positivi e 15 morti (in totale sono 1107: 905 in Cisgiordania e 202 a Gaza). Preoccupa in particolare l’aumento a Gaza dei pazienti in condizioni critiche[1]
* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto[2]
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