Consiglio europeo: c’è accordo sul clima, ma l’accordo di Parigi è lontano
Per la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è «un grande modo per celebrare i 5 anni dall’Accordo di Parigi», a cui oggi l’Onu rende omaggio con un summit (video) sul clima. La Ue porta così all’Onu quello che definisce un «grande successo»: i 27 si sono messi d’accordo all’unanimità per ridurre le emissioni di Co2 «di almeno il 55%» (rispetto al 1990) entro il 2030 (prima l’obiettivo era meno 40%), per arrivare alla neutralità climatica nel 2050. Un terzo del Recovery Fund, inoltre, dovrà essere destinato a investimenti sostenibili. Adesso il Consiglio dovrà però fare i conti con il Parlamento europeo, che ha chiesto una riduzione del 60%, per preparare il testo della Legge clima per il prossimo marzo, a cui faranno seguito proposte legislative specifiche per settori (auto, tasse sull’energia, foreste ecc.) a giugno.
Solo un anno fa, la Polonia aveva rifiutato di aderire al programma Ue di neutralità climatica per il 2050. La Polonia (dove i tre quarti dell’energia provengono dal carbone), assieme all’Ungheria, che hanno bloccato a lungo l’approvazione del pacchetto di 1800 miliardi (bilancio pluriannuale e Recevery Fund), dopo aver fatto indietreggiare i partner al Consiglio europeo giovedì almeno sui tempi dell’applicazione della condizionalità dei finanziamenti al rispetto dello stato di diritto, sono ripartite alla carica in serata, con l’appoggio della Repubblica ceca, e per ore, tutta la notte, hanno negoziato clausole a loro favore sul fronte del clima, chiedendo più soldi. «Siamo tutti abbastanza esausti» ha commentato Ursula von der Leyen ieri mattina. «Dal mio punto di vista – ha detto Angela Merkel – è un risultato molto importante, è valsa la pena perdere una notte di sonno per raggiungerlo, non voglio neppure pensare a che cosa sarebbe successo se non fossimo stati capaci di arrivare a questo risultato».
Per Emmanuel Macron, il Consiglio è «stato un test per la Ue, un test riuscito. La Ue si è mostrata all’altezza delle ambizioni climatiche, un segnale importante, un’ambizione concreta», ma «10 anni è domani, mettiamo tutto in opera per riuscire, adesso, tutti assieme, perché non c’è un piano B”. I primi ministri di Polonia e Ungheria, Mateusz Morawiecki e Viktor Orban, in una conferenza stampa congiunta sono arrivati a dire: «possiamo modestamente dire che abbiamo salvato l’unità della Ue».
Per evitare lo scoglio dei paesi più dipendenti dal carbone, il testo afferma che l’obiettivo della riduzione di almeno il 55% delle emissioni di Co2 sarà «raggiunto collettivamente dalla Ue, gli stati parteciperanno allo sforzo tenuto conto dell’equità e della solidarietà, senza lasciare nessuno indietro». Cioè, alcuni paesi andranno oltre al 55%, altri resteranno al di sotto, quello che conta è la media. Polonia, Ungheria e Repubblica ceca hanno sfruttato l’imminenza del summit Onu per ottenere dei vantaggi, visto che la Ue voleva ad ogni costo non arrivare a mani vuote oggi all’anniversario dei 5 anni dell’Accordo di Parigi. Morawiecki ha commentato: «avremo la legislazione appropriata che ci sarà i mezzi per una trasformazione energetica».
Bloccando il pacchetto di 1800 miliardi, Polonia e Ungheria avevano messo sotto scacco anche il piano clima, perché una riduzione del 55% sarebbe stata fuori portata senza il fondo di transizione di Next Generation Eu.
La battaglia futura sarà sui finanziamenti. I paesi meno ricchi e più dipendenti dal carbone vogliono ottenere maggiori risorse dalla futura riforma del mercato del carbonio. Per ora, trasporti, edilizia, agricoltura non sono coperti dall’Emission Trading System e alcuni paesi chiedono che questi settori vengano finanziati con una ripartizione inversamente proporzionale alla ricchezza dello stato.
Dal Parlamento europeo, che propone una riduzione del 60%, si sono subito alzate voci per dire che il piano «non è sufficiente». Il gruppo dei Verdi sottolinea che c’è un trompe-l’oeil perché nel calcolo del 55% rientrano anche i «pozzi di carbonio» naturali, come le foreste o i suoli e che quindi non si tratta di una diminuzione del 55% ma del 50, 52% al massimo «reale». Inoltre, il gas e il nucleare vengono considerati green, con grande soddisfazione della Romania e non solo (per il primo) e della Francia (per il secondo). Critiche anche le ong ambientaliste. Per Greenpeace «non è all’altezza dell’emergenza climatica, per rispettare l’Accordo di Parigi ci vorrebbe un meno 65%». Anche Greta Thunberg è intervenuta e ha parlato di «obiettivi ipocriti e lontani», di «promesse vuote»
* Fonte: Anna Maria Merlo, il manifesto
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