USA 2020. Trump insiste a denunciare brogli, ma le corti bocciano i ricorsi
NEW YORK. Non sappiamo ancora chi sarà il nuovo presidente degli Stati uniti, Joe Biden ha vinto il voto popolare, con 73 milioni di preferenze diventando il candidato che ha raccolto più preferenze nella storia americana.
E il numero è destinato a crescere, ma negli Usa non è questo che decide il presidente. Come da previsione è tutto appeso al voto per posta, in Arizona, Nevada, Pennsylvania e Georgia, dove si continua a contare, scheda per scheda, cha a Trump piaccia o meno.
Il presidente parla di «discariche di schede», annuncia ricorsi alla Corte suprema e dichiara la vittoria in Pennsylvania, North Carolina e Georgia, ma non raccoglie, per ora, molto seguito.
Il procuratore generale della Pennsylvania ha lapidariamente risposto al tycoon: «Non consentirò a nessuno di fermare il conteggio». Trump e i membri della sua squadra hanno continuato a ripetere che la Pennsylvania sia stata rubata mentre venivano contati i voti per corrispondenza, tanto che il governatore democratico dello Stato, Tom Wolf, ha fatto una conferenza stampa per affermare di essere determinato a contare fino all’ultimo voto.
«La Pennsylvania avrà elezioni giuste e quelle elezioni saranno libere da influenze esterne – ha detto Wolf – Lo farò con vigore e tutti noi ci difenderemo vigorosamente da qualsiasi tentativo di attaccare il voto in Pennsylvania». Lo Stato, considerato uno dei fulcri di queste elezioni, fino a venerdì continuerà ad accettare schede elettorali con timbro postale entro il 3 novembre.
In Georgia un giudice statale ha respinto l’azione legale avviata dalla campagna di Trump sui voti, attirando la protesta dei sostenitori di The Donald fuori dalla State Farm Arena di Atlanta, dove si contano le schede arrivate per corrispondenza.
Anche il Michigan ha respinto la causa che il Gop ha cercato d’intentare affermando che il numero di repubblicani che ha avuto accesso alla gestione delle schede arrivate per posta è insufficiente.
Con la conquista democratica di Michigan e Wisconsin, che portano complessivamente 26 grandi elettori, si continuano ad aspettare i risultati degli spogli.
Le autorità elettorali del Nevada hanno dichiarato che daranno un ulteriore aggiornamento oggi alle 13 (le 19 in Italia), ma hanno messo subito le mani avanti avvisando che la prossima settimana potrebbero ricevere altre schede e che, per le leggi dello Stato, hanno tempo sino al 12 novembre per inserire nel sistema le schede provvisorie, per le quali bisogna accertare l’eleggibilità dell’elettore.
Per placare ogni tipo di contestazione le stesse autorità hanno tenuto a sottolineare di non essere a conoscenza di irregolarità, ma di essere preoccupate per la sicurezza dei dipendenti adibiti al conteggio dei voti. Al momento, con l’89% dei voti scrutinati, Joe Biden in Nevada è in testa.
Biden ha rilasciato ai giornalisti solo brevi dichiarazioni preparate, ribadendo che la sua campagna ha visto un percorso tutto fuorché certo, verso i 270 voti elettorali necessari alla vittoria.
«Ancora una volta si è dimostrato che la democrazia è il cuore pulsante di questa nazione. Non sono qui per dichiarare che abbiamo vinto, ma sono qui per riferire che quando il conteggio sarà finito, crediamo che saremo i vincitori».
Dopo il discorso dalla sua residenza di Wilmington in Delaware, Biden ha continuato ad esortare alla pazienza su Twitter, ripetendo di essere sulla via della vittoria
La pazienza sembra essere l’elemento distintivo di questa corsa per la Casa bianca di Biden, che al primo appuntamento delle primarie del Partito democratico era arrivato addirittura quarto e aveva dovuto pazientare fino al terzo voto, quello del South Carolina, per vincere un turno.
Ora è con lo stesso tono pacato che invita a non perdere calma e pazienza, forte dell’avere molteplici vie verso la Casa bianca, con cinque Stati altalenanti ancora non assegnati e innumerevoli voti da contare, probabilmente a suo favore.
In una lettera ai Democratici della Camera, Nancy Pelosi ha riconosciuto che questa è «un’elezione impegnativa», il che significa che per i repubblicani, rimasti quasi tutti più che fedeli alla politica del presidente, il marchio di Trump non è diventato un’onta da lavare, nonostante sembri sempre più probabile che perda la rielezione
* Fonte: Marina Catucci, il manifesto
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