Rojava. Sifa Jin, centro di medicina naturale gestito da donne: «Ci riprendiamo i saperi»

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A Jinwar, villaggio di sole donne (e bambini) nel Rojava, Siria del nord, lo scorso 4 marzo è stato inaugurato Sifa Jin, centro di medicina naturale che ha lo scopo di prendersi cura delle abitanti di Jinwar e dei villaggi circostanti, ma anche di rispondere – con la pratica – ad alcune domande.

Esiste un altro modo di intendere il concetto di salute? Ci si può prendere cura gli uni delle altre in un modo diverso da quello a cui siamo abituati?

SIFA JIN È GESTITO da sette donne (tra cui due mediche internazionaliste), che lavorano all’interno della clinica in modo orizzontale e in relazione costante con le abitanti di Jinwar e dei villaggi.

In questi mesi, mentre il mondo è affossato dalla crisi pandemica e non riesce a tutelare la salute dei propri cittadini, le donne di Sifa Jin sono riuscite a fare tanto: hanno visitato circa mille persone tra donne e bambini, hanno organizzato tre seminari nelle aree limitrofe e sette a Jinwar, hanno prodotto nuovi medicinali grazie alla raccolta di erbe officinali.

Lavorano ispirandosi ai principi della Jineolojî (la scienza delle donne), secondo cui la salute è lo specchio della società in cui viviamo e, come le cure, va intesa in modo olistico. «Vogliamo che le donne conoscano il proprio corpo e la relazione che c’è tra il loro malessere e la loro situazione di vita», ci dicono da Jinwar. Non è un caso che molti problemi riscontrati finora riguardassero situazioni di oppressione familiare.

«VOGLIAMO ANCHE che le donne si riapproprino dei saperi di medicina naturale e che diventino nuovamente attive nei processi di cura, così com’era prima che la nascita del sistema capitalista la estromettesse dalle “professioni mediche”, quando erano figure fondamentali all’interno delle comunità».

Tutti questi cambiamenti, secondo la Jineolojî, possono avvenire solo quando le donne si uniscono per capovolgere il paradigma presente. Per questo, finora, «la cosa più importante a Sifa Jin è stata la costruzione e il rafforzamento di relazioni cariche di significato e bellezza fra donne».

Relazioni che crescono e legami che si rafforzano anche grazie ai rapporti costanti al di fuori di Jinwar. Per questo motivo, la Rete Jin – rete di donne e libere soggettività in solidarietà con il movimento delle donne curde – ha lanciato lo scorso giugno il crowdfunding «Arte per Jinwar. Sosteniamo l’ecovillaggio delle donne, dove la vita è rivoluzione» sul sito di Produzioni dal basso.

La rete intende sostenere l’acquisto di un’ambulanza, fondamentale per raggiungere altre donne e per intervenire in situazioni emergenziali e di guerra.

«L’idea è nata durante il nostro lockdown, volevamo sostenere il villaggio in previsione della pandemia così abbiamo chiesto loro di cosa avessero bisogno», spiega Fabiana Cioni, attivista della Rete Jin e dottoranda dell’Uav.

Fabiana è stata a Jinwar per due volte e ha sperimentato in modo diretto questo progetto di vita libera tra donne: «Vogliamo sostenerle perché sono l’avanguardia della rivoluzione: vivono in base a un contratto sociale, libere dalle costrizioni del sistema patriarcale e in accordo con i cicli naturali».

NON È UN CASO che, nonostante guerra e diffusione del Covid-19, il villaggio di Jinwar continui a garantire una vita libera e completa alle sue abitanti. Nel resto del Rojava, intanto, si continua a combattere da ogni punto di vista.

La diffusione del coronavirus sta impegnando in modo determinante le energie della Mezzaluna rossa curda, dell’Amministrazione autonoma e delle altre organizzazioni sul territorio.

Nell’area di Hasakeh la Turchia continua a bloccare l’accesso all’acqua a 1,2 milioni di persone, grazie al controllo della stazione di pompaggio di Alouk, vicino Serekaniye.

Contemporaneamente aumentano il numero di crimini documentati nei territori occupati (da Afrin a Serekaniye e Girê Spî) così come gli attacchi indiscriminati nel resto del Rojava da parte delle forze turco-jihadiste

* Fonte: Elisabetta Elia, il manifesto



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