Naufragi di Stato. I responsabili dei crimini contro i migranti hanno nomi e cognomi
Ricordate un bambino africano di sei mesi di nome Joseph? Acqua passata sopra il suo corpo. Compiute le esequie, svanite le buone parole, la sua vita mediatica è già finita come la sua vita reale.
Così è successo a tanti e tante prima di lui. Come l’altro bambino siriano con qualche anno in più, sdraiato per sempre in una spiaggia non si sa dove. L’unica fortuna di Joseph, l’unica fortuna dell’altro bambino, relitto abbandonato sulla spiaggia, è di non essere finiti semplicemente in fondo al mare. In questo caso, per sapere almeno il loro nome, avremmo dovuto affidarci ad Elena Cattaneo, al suo pietoso ufficio di decifrare le identità dei cadaveri, di raccogliere le loro pagelle di scolari sepolte in mare insieme a loro.
Per tutti gli altri, l’anonimato. Come milioni di migranti di tutti i tempi dispersi negli oceani, sulle montagne alpine che tentavano di superare, soffocati nelle miniere, nel chiuso dei container, nel sottofondo di un camion, nel canale della Manica. Sono gli invisibili. Invisibili anche quando si vedono. Come ha detto in questi giorni il sindaco di un comune ligure, pieno di buon senso, non un razzista, attento al benessere dei suoi cittadini: con tutta questa gente irregolare che gira per le strade, la qualità della nostra vita si abbassa.
Ma la cosa non finisce qui, perché noi sappiamo chi sono i colpevoli di tutto questo. E non stiamo parlando delle cause prime, dei fenomeni mondiali, delle responsabilità storiche, delle classi dirigenti europee. Limitiamoci all’Italia e facciamo nomi e cognomi. E non parliamo di colpevoli in senso giuridico (il processo a Salvini sarà sempre e comunque un diversivo), ma in senso morale e politico.
I nomi e i cognomi sono questi. Il primo è Matteo Salvini, degno erede e interprete della tradizione leghista, che ha montato e cavalcato la marea dell’odio. Ha tenuto in mare persone provate e stremate per fare bella figura con la gente stregata dall’idea che la colpa dei suoi mali sia di quelli che arrivavano dall’Africa e per ricattare un’Europa egoista dominata da suoi compari come Farage e Johnson. È lui che ha chiamato crociere i viaggi della sofferenza e della speranza, prendendo a calci i principi di umanità, proclamando che era finita la pacchia. È lui che ha aizzato la ferocia istigando all’assalto degli alberghi dove i rifugiati venivano ricoverati, a chiudere i centri di accoglienza, ad abolire le forme di integrazione diffuse sul territorio. È lui che ha violato i principi della Costituzione, i diritti dell’uomo, le leggi del mare, i principi cristiani della solidarietà. Lui è il primo colpevole. Lui è l’abominevole.
Il secondo è Di Maio, insufflato da Grillo amico di Farage. Lui che – forse informato in anticipo da un magistrato che ha inventato reati inesistenti per denigrare e sanzionare comportamenti virtuosi – ha coniato la formula spietata dei taxi del mare, trasformando un salvataggio in un crimine, e quindi un crimine, l’omissione del soccorso, l’interdizione del soccorso, il rifiuto di salvare chi annega, in un’azione gloriosa, e l’azione umanitaria in azione riprovevole. È ancora Di Maio che in estate si è indignato perché i profughi, ammassati in maniera disumana nei centri di detenzione, fuggivano, anziché indignarsi perché quei centri erano immonde baraccopoli a 40 gradi.
Il terzo – e qui la penna sanguina perché le sue intenzioni non erano perverse, perché ha agito sotto la pressione degli altri due, perché temeva in buona fede che l’onda alta della demagogia rendesse incontrollabile la situazione e minacciasse direttamente la democrazia italiana – è Marco Minniti. È lui che ha trasformato la scellerataggine degli altri in provvedimenti precisi con un preciso effetto e in condotte precise di politica estera: colpevolizzare i soccorritori, limitare la loro presenza, trattare coi Libici, puntare sul trattenimento dei migranti nei loro lager, respingerli nelle braccia degli aguzzini. Era l’estate del 2017. Se Joseph potesse risvegliarsi dovrebbe chiedere conto anche a lui.
E allora finiamola una buona volta con le lacrime di coccodrillo, con il cordoglio unanime, con le foto che cambieranno la storia, con le sequenze cinematografiche del dolore che rimarranno per sempre. Il povero Joseph non sa che farsene, non se ne può fare più niente. E nemmeno noi possiamo farcene niente.
Non saremo per questo migliori. E se non vogliamo puntare il dito contro le persone, parliamo delle parole e delle cose: sono quelle parole, quelle decisioni che fanno annegare uomini, donne e bambini. Sono le navi ferme nei porti, i mari senza soccorritori, i messaggi di soccorso inascoltati, le motovedette libiche che se devono salvare non arrivano, se devono sequestrare i disperati sono sempre pronte.
Se sono le cose, queste cose devono finire. Bisogna fare marcia indietro, bisogna promuovere i soccorsi, organizzare le accoglienze, invertire totalmente, non correggere blandamente, la politica di Salvini e Di Maio. Bisogna dire ai 5 Stelle che non devono riconquistare l’identità originaria, ma negare la loro identità originaria di concorrenti di Salvini. Bisogna riportare i soccorritori dove la gente annega. Bisogna premiarli, bisogna lodarli. Bisogna dire che noi ci riconosciamo in loro, che lo spirito dell’Europa nata dal crollo del nazismo è con loro, non con Salvini, non con Di Maio. Bisogna far presto. Bisogna tagliare netto. O altrimenti tacere. Dimenticare Joseph e tutti quelli come lui. Meglio il silenzio che l’ipocrisia
* Fonte: Antonio Gibelli, il manifesto
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