by redazione | 11 Novembre 2020 18:27
Nessuna tregua in vista nel nord dell’Etiopia, a una settimana dall’inizio dei combattimenti tra l’esercito federale e le forze speciali del Fronte popolare di liberazione del Tigray. Con la perdurante impossibilità di verificare le poche informazioni che filtrano dallo stato maggiore e dal governo etiope. Secondo cui alle conquiste dei giorni scorsi – le città di Maidali, Dansha, Baker e Ligudi – si sarebbe aggiunta quella particolarmente strategica dell’aeroporto di Humera, vicino al confine con l’Eritrea. Le stesse fonti “interessate” raccontano di truppe tigrine allo sbando che si consegnano alle guardie di frontiera del paese vicino.
Il primo ministro Abiy Ahmed ieri ha ribadito che «l’operazione prosegue come previsto e terminerà solo quando la giunta criminale sarà disarmata e un’amministrazione legittima verrà installata». Aggiungendo che i vertici rivoltosi dello stato regionale verrano affidati alla giustizia e che tutti questi obiettivi sono ormai «a portata di mano». A nulla è valsa l’ultima dose di pressioni internazionali sul governo di Addis Abeba. Dopo il segretario delle Nazioni unite Gutierres, ieri è stata l’Unione africana a chiedere l’«immediata cessazione delle ostilità» per bocca del presidente della Commissione Ua, Moussa Faki Mahamat. Aumentano le preoccupazioni che il conflitto si trasformi in guerra civile di lunga durata. E che questo finisca per impattare in modo disastroso sui già fragili equilibri del Corno d’Africa.
Gli effetti dell’offensiva intanto cominciano a farsi sentire anche ai confini settentrionali del Paese. Dalla frontiera con il Sudan giungono notizie di sequestri di armi in entrata e di primi sfollati in uscita. Una fosca proiezione Onu indica in 9 milioni le persone potenzialmente a rischio se non si ferma la guerra.
Dall’Eritrea invece sibilano voci di stampa insistenti circa la massima (e del tutto ipotetica) disponibilità ad aiutare il governo di Addis Abeba. D’altro canto è l’élite politica del Tigray che prima di rinchiudersi nel suo fortino regionale ha premuto per trent’anni i pulsanti della guerra nei palazzi del potere centrale. Invece Ahmed per prima cosa ha risolto il contenzioso con Asmara. Prendendosi tra l’altro tutti i meriti e tutto il Nobel per la pace. Che non sembra pesargli nel momento in cui ha deciso di «ristabilire il diritto di tutti gli etiopi a vivere in pace» attraverso la guerra
* Fonte: Marco Boccitto, il manifesto[1]
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