by redazione | 7 Novembre 2020 9:51
C’è chi le ha definite le più imponenti manifestazioni polacche dalla svolta politica del 1989. Parliamo delle proteste iniziate lo scorso 22 ottobre contro una sentenza della Corte costituzionale votata a inasprire ulteriormente le già restrittive leggi sull’interruzione di gravidanza. Essa vieterebbe infatti l’aborto anche in caso di gravi malformazioni del feto. Le dimostrazioni pubbliche susseguitesi da quel giorno sono state massicce e hanno avuto luogo in diverse città del paese. Finora le donne hanno chiaramente svolto un ruolo centrale in questa mobilitazione, ne sono state ispiratrici e promotrici. La protesta però si è allargata, ha coinvolto molti giovani e assunto un carattere complesso. I manifestanti, infatti, non hanno tardato a chiedere le dimissioni del governo e si sono pronunciati a favore di una società libera dall’influenza di una chiesa capace di condizionare le scelte politiche e la vita delle donne, delle famiglie.
Una mobilitazione massiccia, si diceva, che ha organizzato cortei, blocchi stradali, uno sciopero generale e picchetti nelle chiese, attaccando in questo modo la Conferenza episcopale polacca che aveva accolto con soddisfazione la sentenza. Sentenza giunta dietro richieste del partito di maggioranza Diritto e Giustizia (PiS), forza politica nazionalista e conservatrice, di quelle per cui la formula patria-chiesa-famiglia rappresenta i valori fondamentali di una popolazione sana. Va detto che dal 2015, anno dell’approdo del PiS al potere, il governo polacco si è speso per una revisione della già restrittiva legge sull’aborto. Emanata nel 1993, la stessa è senz’altro una delle più limitative esistenti in tale ambito. Essa concede infatti il diritto di aborto solo nei casi di stupro, incesto e pericolo di vita per la madre.
Come già detto, la sentenza escluderebbe la possibilità di intervenire nei casi di malformazione e problemi di salute del feto, una disposizione tanto voluta dal governo che però oggi, dopo numerosi giorni di manifestazioni continue e partecipate sembra in difficoltà e ritarda l’esecuzione della sentenza. La domanda, nel momento in cui questo articolo viene scritto, è se l’esecutivo si stia davvero preparando a compiere concretamente un passo indietro.
Sta di fatto che questa situazione viene già vista come un primo successo dei manifestanti che erano già scesi in piazza, soprattutto nel 2016 e nel 2018 per gli stessi motivi. Allora come oggi sono in ballo cambiamenti fondamentali per la società polacca e una maggiore possibilità di autodeterminazione femminile. C’è una società civile che si attiva per questo e si pone in contrasto con certi poteri politici ed ecclesiastici che aspirano evidentemente ad un controllo sociale in nome di codici morali considerati limitanti e unicamente funzionali all’esercizio del potere.
Quello della legge sull’aborto è uno spunto di grande importanza; del resto, il carattere restrittivo della legislazione vigente nel paese ha portato a far crescere in modo continuo il numero delle donne che abortisce legalmente all’estero o clandestinamente in patria.
Molte donne scelgono di andare all’estero per effettuare l’interruzione di gravidanza. Le mete principali risultano essere la Slovacchia e la Repubblica Ceca seguite da Paesi Bassi, Germania e Lituania. Per quello che riguarda invece gli aborti legali vi è da osservare che, secondo le statistiche a disposizione, nel 2019 ci sono state 1.100 interruzioni di gravidanza, la stragrande maggioranza delle quali dovute a malformazioni del feto, cioè proprio alle motivazioni che la sentenza non ammetterebbe più come ragioni accettabili per procedere all’interruzione di gravidanza.
Secondo le stime della Federazione delle Donne e della Pianificazione Familiare, un’organizzazione femminista, dal 2016 un numero di donne compreso fra 80.000 e 120.000 abortisce illegalmente in patria o legalmente all’estero. Ora si attendono aggiornamenti sulle decisioni del governo di Varsavia che, chiedendo a gran voce disposizioni più severe in materia di aborto, secondo diverse ONG a livello internazionale, ha violato i diritti delle donne. Inoltre la commissaria del Consiglio d’Europa per i diritti umani ha definito lo scorso 22 ottobre un giorno triste per le donne. Donne che in questi giorni sono state protagoniste, organizzatrici instancabili e, si spera, artefici di un cambiamento.
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