by redazione | 20 Ottobre 2020 17:26
Eliminare le «classi pollaio»; individuare spazi alternativi consoni per la didattica in presenza sdoppiando le classi e tutelando il tempo-scuola; raddoppiare il trasporto pubblico; evitare la didattica a distanza alternata sistematicamente con quella in presenza con il conseguente frazionamento delle lezioni; assumere subito più personale e docenti; stabilizzare quelli precari da più di tre anni; effettuare tamponi rapidi e continuativi per rilevare i contagi da Covid; istituire subito il medico scolastico.
Poco o nulla di ciò che il movimento dei genitori, docenti e studenti di «Priorità alla scuola» ha chiesto dall’aprile scorso è stato fatto dal governo negli ultimi otto mesi. Lo confermano le decisioni prese nell’ultimo «Dpcm». Da oggi si va verso la strutturazione per tutto l’anno scolastico dell’alternanza tra la didattica in presenza e quella online alle superiori. Si introducono, dove è possibile, dei doppi turni con l’entrata prevista a partire dalle nove. Alcune di queste decisioni avrebbero potuto essere prese due mesi fa, a condizione di avere più spazi, più insegnanti, più trasporti. Il «Dpcm è fin troppo generico, fa lo scaricabarile sulle singole istituzioni scolastiche. Sullo scaglionamento degli orari di ingresso le scuole incontreranno grandi difficoltà. La sensazione è che questo decreto sia di transizione in attesa di ulteriori provvedimenti» ha commentato Rino Di Meglio (Gilda).
La protesta di «Priorità alla scuola» è tornata ieri in 13 città dove il movimento ha organizzato presidi e flash mob. A Roma davanti al Ministero dell’Istruzione dove i suoi rappresentanti sono stati ricevuti per la prima volta dallo staff della ministra Lucia Azzolina. L’occasione scatenante della protesta è stata la chiusura delle scuole in Campania venerdì scorso. Un caso che concentra almeno due aspetti politici che stanno strangolando la scuola in questa ripresa difficilissima e non scontata. Il primo è normativo-politico: la decisione di De Luca è stata permessa dal governo che ha emesso un «Dpcm» in cui ha permesso ai governatori di prendere iniziative più restrittive. Una decisione che contrasta con la linea politica dell’esecutivo: «La scuola non va chiusa». Il secondo aspetto: la Campania è stata una delle ultime regioni a riaprire le scuole – anche in polemica con il caos provocato dal governo con le elezioni regionali e il referendum piazzate cinque giorni dopo l’inizio dell’anno scolastico. La Campania è stata anche la prima a chiudere le scuole, invece di intervenire drasticamente su altri settori dove, si presume, i contagi siano molto più ampi. A cominciare dalle attività produttive. Un’ipotesi davanti alla quale, per ora, De Luca non ha voluto affrontare, chiudendo la scuola. «La chiusura delle scuole e il passaggio alla didattica a distanza sarebbero accettabili solo in caso di un lockdown totale del paese» ha ribadito Priorità alla scuola.
«Stanno scaricando sulla scuola problemi che sono esterni ad essa e che si potevano prevedere e risolvere. La scuola paga il prezzo dell’incapacità del nostro Paese di sostenere, di affrontare una situazione complicata e purtroppo prevedibile» ha commentato Francesco Sinopoli (Flc Cgil). «Si chiede alla scuola addirittura maggiore flessibilità, senza nemmeno affrontare l’argomento con i diretti interessati» ha aggiunto Pino Turi della Uil Scuola.
L’altro fronte caldissimo della scuola è il concorso per i precari con oltre tre anni di servizio che inizia dopodomani e durerà fino al 9 novembre. Il governo si trova in ostaggio dell’ostinazione della ministra Azzolina che ha rifiutato la stabilizzazione di 32 mila docenti, previa prova per titoli e servizio. Mentre i contagi crescono, si stringono le maglie sulle attività didattica, e la Lombardia annuncia il «coprifuoco» da giovedì, si costringono 65 mila persone a muoversi in tutto il paese. Dopo l’appello del Pd a Conte, ieri i governatori leghisti hanno chiesto di rinviare le prove
* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto[1]
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