Lombardia, i medici denunciano: «Trasferimenti forzati all’ospedale Fiera spacciati per volontari»

by redazione | 31 Ottobre 2020 8:48

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MILANO. «Non ci piace fare terrorismo psicologico, ma quando devi soccorrere un 18enne con un collega di 30, ti rendi conto che la situazione è grave. Come durante la prima ondata. O addirittura peggio». A parlare è la dottoressa Cristina Mascheroni, presidente dell’Aaroi – Emac Lombardia (Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani – Emergenza Area Critica), che spiega il perché le accuse di allarmismo indirizzate ai medici siano infondate. «Di criticità ce ne sono, soprattutto per quanto ci riguarda». È il motivo per cui, come associazione di categoria, nei giorni scorsi hanno annunciato lo stato di agitazione.

Dottoressa Mascheroni, quale soluzione si è trovata con la Regione per far fronte alla carenza di medici?

Nessuna: la riunione di mercoledì (28 ottobre, ndr) si è conclusa con un nulla di fatto. Le proposte che avevamo presentato sono state ignorate. Ci aspettiamo un’altra convocazione all’inizio della prossima settimana: in caso contrario, ci mobiliteremo. Viste le circostanze, uno sciopero sarà difficile (sperando che Regione non ne approfitti per ignorarci), ma stiamo pensando a una manifestazione.

Cosa chiedete?
Innanzitutto di non essere spostati forzatamente da un ospedale all’altro. La Regione assicura che i trasferimenti saranno volontari ma sappiamo che ci sono già alcuni “spontaneamente” volontari. È una condotta vessatoria che, se diffusa, sarebbe grave.

Intende dire che alcuni medici vengono mobilitati dalle direzioni degli ospedali?

Esatto e a questo si aggiunge che non è stata comunicata la durata del trasferimento, né le modalità di alloggio. Per non parlare delle regole su orario di lavoro e turnover. Ci sono colleghi, penso a quelli del Policlinico, che hanno già iniziato nell’Ospedale in Fiera e altri che inizieranno a breve.

Ma non dovevano esserci i volontari?

Alla regione risulteranno tali proprio per il motivo di cui parlavo. In ogni caso, se ci fossero state “regole d’ingaggio” trasparenti fin da subito, si sarebbero trovati molti più volontari. Veri. L’incertezza ha frenato tanti colleghi.

Perché si è arrivati a novembre senza soluzioni?

Durante l’estate, la Regione ha discusso con noi il piano di emergenza ospedaliero e ha definito quali hub sarebbero subentrati in base al livello d’allerta. Per esempio la Fiera di Milano. Quello che non ha fatto è stato pensare alle modalità di reclutamento del personale. Che già allora scarseggiava.

Dal Pirellone assicurano però che sono stati assunti dei medici.

Specializzandi del 4° e 5° anno sono stati inseriti grazie al decreto del 9 marzo con contratti atipici legati all’emergenza Covid. Ma è chiaro che non basta. Il punto è che di anestesisti non ce ne sono affatto. E non è solo un problema di Regione Lombardia. Dobbiamo ringraziare una visione ministeriale miope che negli ultimi anni ha previsto poche o insufficienti borse di studio per anestesia e medicina d’urgenza.

Cosa pensa della circolare del dg Trivelli che prevede di non sospendere il lavoro per i medici in attesa di tampone?

La delibera ha solo ribadito la linea indicata dal governo a marzo. A differenza del resto dei cittadini, che in caso di contatto con un positivo restano in quarantena fino all’esito del tampone, noi dobbiamo continuare a prestare servizio. Il motivo è chiaro: se ci mettessimo tutti in quarantena non ci sarebbero più medici. Non ci rende felici, ma si fa di necessità virtù.

E con le famiglie come si fa, visto che non sono state predisposte strutture per la quarantena?

Si parla di isolamento “part time” che ci siamo auto imposti già a marzo. Ci sono colleghi che quando rientravano dall’ospedale si isolavano in casa. È l’unico modo per proteggere le famiglie.

Non sarebbe più semplice se ci fossero screening periodici sul personale sanitario?

Non c’è alcuna normativa che lo preveda. Fatta eccezione per chi opera nei reparti di onco-ematologia, quindi con pazienti fragili, per gli altri lo screening periodico è a discrezione delle direzioni amministrative degli ospedali. E in Lombardia sono una o due quelle illuminate che svolge

* Fonte: Francesca Del Vecchio, il manifesto[1]

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