L’Isis è tornato, ma Trump finge di non vederlo

L’Isis è tornato, ma Trump finge di non vederlo

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A volte ritornano, o forse non se ne sono mai andati. L’Isis è stato sconfitto e ora riportiamo a casa «i nostri ragazzi», è un dei mantra di Trump che è stato ripreso dal suo vice Mike Pence nel dibattito con Kamala Harris. Ma la pandemia e la crisi economica globale hanno permesso all’ex Stato Islamico di riorganizzarsi.

Altro che «missione compiuta», abusata formula dei presidenti americani per tentare di coprire i vasi di Pandora mediorientali.

La realtà è diversa da come la descrive la Casa Bianca, che aveva cominciato l’anno del Covid ammazzando con un drone il 3 gennaio nella capitale irachena il generale iraniano Qassem Soleimani, colui che nel 2014, dopo la caduta di Mosul e la disfatta dell’esercito iracheno, aveva fermato con le milizie sciite il Califfato alle porte di Baghdad.

E non è un caso che la Harris nel corso del dibattito con Pence abbia criticato aspramente questo omicidio e l’uscita dall’accordo con l’Iran sul nucleare voluto da Obama nel 2015. Vedremo se anche il suo capo, Joe Biden, la penserà allo stesso modo nel caso venisse eletto. C’è da dubitarne.
Tre notizie ci dicono che la guerra all’Isis e in Siria non è per niente finita e ricordano, anche a noi qui in Italia, un passato recente che si vorrebbe archiviare.

Due militanti dello Stato islamico, conosciuti come i «Beatles», sono arrivati negli Usa per affrontare un processo in cui sono accusati di avere preso parte alla decapitazione di quattro ostaggi occidentali. Alexanda Kotey («Jihadi Ringo») e El Shafee Elsheikh – britannici cui Londra ha ritirato la cittadinanza – sono sospettati di appartenere a una cellula dell’Isis di 4 membri nota come «The Beatles» perché parlavano inglese con accento britannico.

La seconda notizia è che secondo la procura antiterrorismo della Sardegna la Saras, controllata dalla famiglia Moratti, avrebbe acquistato tra il 2015 e il 2016 petrolio del Califfato, convogliato via Turchia, frodando il fisco per 130 milioni di euro e finanziando di fatto il jihad dell’Isis.

La terza vicenda riguarda la città siriana di Idlib, occupata dalle milizie jihadiste alleate della Turchia: i jihadisti europei che ancora combattono qui potrebbero tentare di rientrare in Europa attraverso i confini turchi, almeno così sostiene il presidente siriano Bashar Assad. Mosca e Damasco vorrebbero riprendere la città ma anche questo nodo siriano per Putin è un motivo di scontro con Erdogan, oltre alla questione libica e al Nagorno Karabakh.

Il Califfato non è sparito come sostiene la Casa Bianca, contro gli stessi rapporti dell’intelligence americana. Gli Usa hanno contribuito alla disgregazione territoriale del Califfato, insieme ai curdi del Rojava – poi lasciati alla mercé di Erdogan – e all’esercito siriano alleato con i russi, ma non lo hanno sconfitto.

L’Isis è tornato a colpire in Siria e in Iraq e persino a imporre un controllo, sia pure sporadico e simbolico nella Siria orientale, dove nei villaggi a est di Dayr Ezzhor riescono persino a riscuotere dagli abitanti, la zakat, tassa prevista dalle legge islamica.

Nel marzo del 2019 con la caduta della roccaforte di Baghouz il Califfato era stato dichiarato formalmente sconfitto e l’uccisione in ottobre del suo leader al Baghdadi (sostituito dal controverso Al Quraishi) aveva spinto Trump a dichiarazione trionfaliste. Ma l’Isis è tornato. Gli attacchi all’esercito siriano e in Iraq si sono moltiplicati e l’ex Califfato ha beneficiato della redistribuzione delle truppe americane in Turchia, in Siria e in Iraq, tanto è vero che le milizie curde e arabe dell’Sdf sono state messe in allerta per sferrare nuove offensive. Basta leggere l’ultimo rapporto dell’Onu: l’Isis conta ancora su almeno 10mila combattenti e riserve finanziarie stimate 100 milioni di dollari. A volte tornano, ma qualcuno fa finta di non vedere.

* Fonte: Alberto Negri, il manifesto



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