Il Garante Ciambriello: vogliamo verità sulle violenze contro i reclusi
Uno degli episodi che hanno caratterizzato il periodo dell’isolamento dovuto alla diffusione del nuovo Coronavirus e sottolineato la situazione critica esistente nelle carceri italiane è quello che vede al centro l’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere. Si parla di maltrattamenti da parte di agenti di Polizia Penitenziaria a danno di detenuti. La vicenda è al centro di un’inchiesta da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere che forse sta arrivando a una svolta. Ne parliamo con Samuele Ciambriello, garante regionale dei detenuti campani.
Le denunce riguardanti casi di violenza sui detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ad opera di agenti di Polizia Penitenziaria (PP) sono di nuovo al centro delle cronache. Proviamo a ricostruire la vicenda.
Tutto inizia a marzo, quando in diversi istituti penitenziari italiani si svolgono numerose proteste contestuali alla diffusione del Covid-19 e ai provvedimenti presi nel frangente, in alcuni casi violente in altri pacifiche. In Campania la prima agitazione ha luogo il 7 marzo a Salerno, la seconda l’8 marzo a Poggioreale. La sera del 5 aprile i detenuti di tre delle otto sezioni del carcere di Santa Maria Capua Vetere si rifiutano di rientrare in cella e chiedono di parlare con le autorità competenti. Il giorno dopo, col pretesto della perquisizione alla ricerca di corpi contundenti, degli agenti mettono a soqquadro il padiglione Nilo. Un detenuto che lascia il penitenziario perché ottiene i domiciliari dichiara di essere stato picchiato. Nel corso di colloqui con detenuti e familiari apprendo di percosse a danno dei primi. C’è del resto del materiale video proveniente dalle telecamere a circuito chiuso che offre prove concrete di quanto accaduto. Forse qualcuno ha pensato che non fossero in funzione, fatto sta che il materiale video mostra maltrattamenti e detenuti fatti mettere in ginocchio o con la faccia contro il muro da agenti, alcuni dei quali col volto coperto, altri no.
Qual è ora la situazione dal punto di vista dell’accertamento delle responsabilità?
Ci sono 57 avvisi di garanzia, magistrati e sanitari hanno appurato i fatti. Come dicevo prima ci sono testimonianze in video dell’accaduto. Il quadro ormai è completo. Non si è trattato di una rivolta sedata perché fra la protesta dei detenuti e l’intervento delle guardie c’è un intervallo temporale: la prima ha avuto luogo il 5 aprile, la reazione delle guardie il 6 e ha assunto i connotati della rappresaglia.
Andare a fondo alla questione è anche nell’interesse della stessa Polizia Penitenziaria.
Io ho assistito a modi diversi di gestire tensioni in carcere da parte degli agenti di PP. Casi di detenuti che salivano sul tetto e si rifiutavano di scendere, come quello di un ristretto che voleva essere trasferito in un altro istituto di pena. In quell’occasione ha avuto luogo una mediazione pacifica. Grazie ad agenti penitenziari, inoltre, alcuni detenuti che tentavano di suicidarsi sono stati salvati. Voglio inoltre ricordare che il vecchio slogan degli agenti di PP era “Vigilare per redimere” e il nuovo è “Infondere speranza”. Le mele marce, però, vanno individuate e messe in condizione di non screditare più il corpo cui appartengono e di non alimentare tensioni nelle carceri.
A questo punto?
Ci vuole equilibrio, a maggior ragione in questo momento delicato, e cercare, con questo spirito, di fare giustizia. Ora, il responsabile della Giustizia del PD, Walter Verini, ha fatto un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia sollecitando un’inchiesta a livello ministeriale per accertare le responsabilità. Io ripongo la massima fiducia nell’operato della Polizia Penitenziaria, sono perfettamente conscio del fatto che gli agenti lavorano in condizioni difficili e in una situazione di sottorganico, ma il caso è eclatante e va fatta giustizia senza se e senza ma.
ph by Wellcome Collection gallery (2018-04-05): https://wellcomecollection.org/works/v3m4c2pb CC-BY-4.0
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