A Roma un cimitero dei feti con i nomi, le donne si ribellano

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Scrive una donna: «Gentile avvocato, vorrei sapere se una di quelle croci porta anche il mio nome». E un’altra: «Non ho la forza di andare a verificare, mi può aiutare?». E un’altra ancora: «Mi chiedo se anche il mio nome possa risultare in quelle croci». E ancora: «Ho avuto un aborto terapeutico, tutto questo ha riaperto in me profonde ferite, che fine hanno fatto i resti del feto?».

CENTINAIA DI E-MAIL, spaventate, addolorate. Centinaia di donne che in 24 ore hanno scritto da tutta Italia all’avvocata bolognese Cathy La Torre che ha aperto una casella di posta elettronica (tutelaliberascelta@gmail.com) per difendere le vittime di quanto accaduto a Roma, dove molte decine di feti sono stati sepolti a insaputa delle donne con il loro nome sulle croci.

Come rivelato dal giornale britannico Indipendent, un caso del genere era già successo nel 2013 a Torino, quando una donna aveva scoperto all’improvviso (dopo una telefonata del cimitero in cui le venivano chieste indicazioni per l’ esumazione) e dopo anni che il suo feto stato seppellito a sua insaputa dopo l’aborto da una associazione cattolica, «Difendere la vita con Maria» che agisce in tutta Italia da quasi vent’anni. La Torre ha deciso di inviare a ognuna delle mittenti un modello per una richiesta di accesso agli atti del proprio Comune e un altro per segnalare violazioni della privacy al Garante, che ha già aperto un’istruttoria. «Questa pratica ricorda la lettera scarlatta», dice.

A ROMA L’ASSOCIAZIONE «Differenza Donna» in poche ore ha raccolto 30 persone che hanno scoperto i loro nomi sulle tombe del cimitero Flaminio e hanno deciso di fare un’azione legale collettiva. Come chiesto anche da Francesca, una delle donne che mercoledì si è ritrovata col nome su quelle croci, «un’altra profondissima pugnalata, un dolore infinito e una rabbia da diventar ciechi», ha scritto su Facebook. Ricordando di aver chiesto «in tre occasioni all’ospedale che fine avesse fatto il feto», non ricevendo mai alcuna risposta.

«La prossima settimana ci riuniremo tutte», spiega la presidente Elisa Ercoli. «Chiederemo di essere ricevute dal ministro della Salute Speranza e dall’amministratore unico di Ama Stefano Zaghis», finora silente sulla vicenda, come la sindaca Virginia Raggi. Per il Comune di Roma ieri al Tg3 ha parlato la delegata alle Politiche di genere Lorenza Fruci: «Inaccettabile quanto accaduto con i nomi sulle tombe, una pratica mortificante e inammissibile che lede il diritto di queste donne alla privacy».

LA GIUNTA M5S però, almeno finora, non ha spiegato se è intervenuta per chiedere di rimuovere i nomi dalle lapidi e per far cessare questa pratica nei cimiteri romani. Il deputato radicale Riccardo Magi incalza Raggi: «Il Consiglio comunale di Roma approvi velocemente una modifica del regolamento che ponga in primo piano il rispetto della privacy e della volontà della donna e preveda l’eliminazione immediata di tutti nomi dalle croci».

«In questa storia terribile il rimpallo di responsabilità tra Ama e ospedale San Camillo è inquietante e irresponsabile», attacca il coordinamento delle donne dell’Anpi di Roma. «Il Garante della Privacy faccia piena luce, il governo garantisca il pieno rispetto della 194», incalza la Cgil del Lazio.

«Dobbiamo spingere il governo a rivedere il regolamento di polizia mortuaria del 1990. Noi, come Regione, possiamo valutare o un regolamento attuativo o una legge regionale ancora più stringente per eliminare la discrezionalità che ha portato al caso del cimitero Flaminio», dice la capogruppo della Lista Zingaretti in Regione Marta Bonafoni. «Ho già proposto alla maggioranza di risalire a tutti i passaggi dal cimitero in su: Ama, Comune, ospedale, Asl, Regione, regolamento nazionale, legge nazionale. Scopriremo che ci sono delle scelte discrezionali e una ambiguità che è figlia dell’ambiguità della legge, ambiguità che vive dell’ideologia».

Persino il leader del Family Day, l’antiabortista Massimo Gandolfini, denuncia: «Scrivere il nome e cognome della madre sulla tomba è una procedura sbagliata e sciocca».

* Fonte: Andrea Carugati, il manifesto



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