Referendum. Un No critico, «di lotta e protesta»

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Il mio sarà un No critico. Come si sarebbe detto un tempo: «di protesta e di lotta», che non si ferma il 20 di settembre. Voterò contro una riforma improvvisata nella speranza che alla chiusura delle urne, quale che sia l’esito, si possa tornare a ragionare più seriamente.

E su tematiche decisive per la nostra democrazia. Voterò contro per reagire ad una discussione pubblica, ad una campagna referendaria, che mi è parsa povera e piena di equivoci, se non di opportunismi.

Confesso che non mi hanno convinto molte cose che ho sentito: non ho apprezzato la superficialità di chi ha ridotto ad una questione di numeri la crisi del parlamento; non ho condiviso l’ottimismo di chi ha affermato che il taglio possa rappresentare la leva per altre ipotetiche riforme; non riesco a comprendere neppure la difesa di questo parlamento agonico, né gli allarmi tardivi che provano a porre un nesso di casualità tra la riduzione del numero dei parlamentari e la crisi della rappresentanza. La mia più sincera impressione è che, costretti dal quesito referendario, si è teso a semplificare una realtà assai complessa.

Lunedì sarà finita e dovremmo ricomporre l’infranto. Non sarà facile riprendere il cammino, anche perché la divisione ha attraversato le coscienze condivise, lacerando comunità omogenee.  Questo referendum infatti non ha solo visto unirsi i diversi, così com’è avvenuto in passato, ove erano differenti, a volte opposte, le ragioni che inducevano a votare a favore o contro. È avvenuto anche che, diversamente dal passato, i fautori del parlamento e i suoi nemici hanno marciato assieme, presenti in entrambi gli schieramenti.

Nel fronte del Sì, vero è che è stato l’antiparlamentarismo ad aver spinto molti a proporre il «taglio delle poltrone», ma non può negarsi che l’auspicio di conferire maggiore autorevolezza ad un organo meno pletorico ha motivato altri. Nel fronte del No, la mera difesa dell’esistente e dell’attuale degenerato sistema politico ha portato alcuni ad opporsi al cambiamento proposto, magari rivendicando ancora la bontà delle precedenti grandi riforme, questi hanno lottato affianco a tutti coloro che si battono da anni per evitare l’emarginazione dell’istituzione parlamentare con spirito critico e consapevoli dei limiti dell’attuale sistema parlamentare. Tra i costituzionalisti, poi, il rimescolamento delle carte è stato profondo.

Se non vogliamo credere di essere gli unici nel vero, le critiche di tanti «compagni di strada» non possono lasciaci indifferenti, così come non possono non impensierirci gli elogi di oggi dei tanti avversari di ieri. Io penso che ci attenda una grande opera di ricostruzione.
Qualcuno ha sostenuto, in entrambi i fronti, senza in realtà motivare, che il taglio ovvero il permanere dell’attuale numero dei parlamentari rappresenta il presupposto necessario per poter rilanciare, dopo il referendum, le ragioni del parlamentarismo. Queste sono pure petizioni di principio.

Ora, invece, qualunque sia il risultato, dobbiamo cominciare a ricomporre i campi, chiamando «alla protesta e alla lotta» tutti coloro che credono ancora che la democrazia parlamentare possa uscire dal suo cono d’ombra che da oltre trent’anni si va sempre più oscurando.
Ora, non abbiamo neppure più la scusa dei numeri. Nessuno

* Fonte: Gaetano Azzariti, il manifesto



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