Referendum. Stravince il Sì, affluenza al 54%, il governo tiene
Affluenza alta, quasi il 54% (53,84%), superiore alle previsioni, e vittoria netta del Sì al taglio dei parlamentari con quasi il 70% (69,6%). Il No è cresciuto nell’ultimo mese, praticamente raddoppiando rispetto ai sondaggi di inizio campagna elettorale, ma non ha sfondato. Solo in una regione i contrari alla riforma costituzionale hanno raggiunto il 40%, il Friuli Venezia Giulia, e solo in due provincie su tutto il territorio nazionale, Udine ancora nel Friuli che è una delle regioni più penalizzate dal taglio (e dove il presidente leghista Fedriga si è schierato per il No) e Belluno, provincia veneta dove il candidato leghista Zaia ha fatto il pieno sfiorando l’80%.
NON C’È STATA la fuga dai seggi per la paura del Covid né ci sono stati, in generale e salvo episodi, grossi problemi per l’accesso ai seggi e l’organizzazione del voto. La scelta dei 5 Stelle di accoppiare regionali e referendum non è servita a trainare il consenso alle liste grilline, ma ha funzionato per tenere su l’affluenza. Le prime otto regioni per partecipazione sono le sette in cui si è votato anche per i presidenti – nell’ordine Valle d’Aosta, Veneto, Marche, Toscana, Puglia, Campania e Liguria – più il Trentino, per affluenza subito prima del Veneto. Ma il Sì ha vinto ovunque e ha vinto specialmente al sud.
Passando infatti dall’affluenza allo scrutinio, la mappa d’Italia si rovescia: al primo posto per il Sì ci sono le regioni del sud, primo il piccolo Molise con quasi l’80% – è anche la regione meno penalizzata in assoluto dal taglio dei parlamentari. A seguire Calabria, Sicilia, Basilicata, Campania, Puglia, Abruzzo.
PRINCIPALMENTE AL NORD, invece, le regioni dove il No ottiene il risultato migliore, in testa come già detto il Friuli e poi Veneto e Liguria. Sopra la media dei No anche Lazio, Toscana, Sardegna, Lombardia e Piemonte. Al sud c’è però anche l’affluenza più bassa: in Sicilia e Sardegna si è fermata poco sopra il 35% quasi venti punti sotto la media nazionale. La partecipazione al voto è rimasta bassa in tutto il Mezzogiorno, in Calabria, Molise, Abruzzo, Basilicata. Bassa affluenza ha significato spesso vittoria più netta del Sì, con percentuali altissime nelle provincie di Crotone (81,94%), Agrigento (80,69%), Foggia (80,11%) e Campobasso (80,62%).
Questo può voler dire che al sud sono andati a votare principalmente i favorevoli al taglio dei parlamentari, più motivati dei contrari. Il dato potrebbe non sorprendere, visto che il sud nel 2018 è stato il granaio dei voti per i 5 Stelle, ma che si accompagna adesso a un ripiegamento dei grillini nelle preferenze. Come confermano i cattivi risultati del Movimento in Puglia e in Campania e, per quanto riguarda la Calabria, dall’exit poll sulle comunali di Reggio.
UNA PRIMA SOMMARIA ANALISI sembrerebbe suggerire allora che il seme anti parlamentare piantato dai 5 Stelle germogli adesso malgrado l’insuccesso elettorale dei grillini. È come se il Movimento avesse compiuto la sua missione, e le campagne dei 5 Stelle sopravvivano al loro ciclo elettorale (facendo proseliti altrove, per esempio nell’elettorato Pd). L’analisi dei risultati nelle sei grandi regioni dove si è votato per i presidenti mostra una correlazione positiva tra il voto per i candidati presidenti 5 Stelle e la percentuale di Sì al referendum – solo la Liguria sfugge al trend, probabilmente non a caso perché è la regione dove il candidato grillino era espressione della coalizione con il Pd.
Osservando i dati di affluenza e l’esito degli scrutini nel referendum costituzionale, salta agli occhi il caso dell’Emilia Romagna. La regione della resistenza del Pd è anche la regione «media» del paese. L’affluenza del 55,37% al referendum ha lo scarto minore rispetto a tutte le altre regioni rispetto al dato nazionale (+1,53%). Il risultato del Sì praticamente coincide con quello nazionale (69,55% Emilia Romagna, 69,62 Italia). E forse non è un paradosso che la regione rossa sia adesso il campione perfetto della risposta nazionale al quesito dei 5 Stelle.
SCAVANDO NEI DATI delle regioni e delle città, un altro risultato interessante è quello dei grandi capoluoghi. Roma, Milano, Napoli, Torino hanno registrato tutte un’affluenza al referendum inferiore rispetto al dato regionale rispettivamente di Lazio, Lombardia, Campania, Piemonte. Non così Firenze e Bari, le due città decisive nel decidere la vittoria di Giani ed Emiliano: a dimostrazione che dove la partita era aperta l’effetto traino delle regionali è stato più forte. Il Sì infatti è stato in buona parte un successo delle periferie e dei piccoli centri rispetto alle grandi città che hanno risposto più freddamente. E non in maniera uniforme.
ANCHE IL TAGLIO dei parlamentari ha confermato infatti lo scarto che c’è tra i centri storici, i quartieri «alti» e le periferie. I primi dati dai comuni sono univoci. A Torino il Sì ha vinto con il 60,75%. Ma nelle seggi di piazza Cavour, via Po, via Biancamano o in collina il risultato è rovesciato: 70% per il No. A Firenze il Sì ha vinto con uno scarto minore rispetto alla media nazionale (55,45% contro il 44,5% del No) ma nel Quartiere 1 ha vinto il No con il 52% mentre nel quartiere 4 ha vinto il Sì con il 61%.
Anche a Milano ha vinto il Sì, ma nel Municipio 1 ha vinto il No con il 56,54%. A Napoli il Sì ha vinto con una percentuale superiore a quella nazionale, il 74,5% ma nel quartiere bene di Chiaia si è fermato al 54% mentre a Scampia ha toccato l’85,6%. A Roma il Sì e il No hanno rispettato la media nazionale (60% a 40%) ma questo risultato medio tiene insieme la vittoria del No con il 56% nel Municipio 1 e la vittoria del Sì con il 73% nel Municipio 6 (Torre Angela e Tor Bella Monaca).
INFINE UN DATO sulla partecipazione degli elettori all’estero. Con la metà delle schede ancora da conteggiare nel centro di Castelnuovo di Porto, l’affluenza ieri sera era ferma al 20,5%, molto al di sotto di tutti i precedenti. All’estero hanno vinto il Covid e il lockdown: su 4,5 milioni di elettori iscritti all’Aire avranno votato meno di un milione di connazionali
* Fonte: Andrea Fabozzi, il manifesto
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