Migranti, le accuse di Amnesty a Malta: «Nel Mediterraneo abusi e illegalità»
Dodici persone potrebbero essere ancora vive se non fossero state abbandonate per sei giorni in mare. Viaggiavano con altri 51 esseri umani su un barcone partito dalla Libia il 9 aprile scorso. Avevano raggiunto la zona Sar maltese, ma il 15 sono state ricondotte illegalmente a Tripoli. Il «respingimento di Pasquetta» lo ha condotto da un peschereccio libico che però era ancorato a Malta. Quando è giunto sulle coste nordafricane trasportava cinque cadaveri. Altri sette erano rimasti in mare. Secondo i sopravvissuti, poi rinchiusi nei centri di detenzione, qualcuno aveva a raggiungere a nuoto una nave portoghese, la Ivan.
QUESTO EPISODIO, già denunciato da inchieste giornalistiche e Alarm Phone (Ap), è il più grave di quelli raccolti nel rapporto «Malta: onde di impunità», pubblicato ieri da Amnesty International. Il più grave, ma non l’unico. Al contrario il dossier descrive un sistema articolato e molteplice di contrasto dei flussi migratori. Amnesty ha registrato nei primi sei mesi del 2020 quattro tipi di eventi che comportano violazioni dei diritti di rifugiati e migranti. Oltre a quello menzionato, ci sono i respingimenti del 14 marzo di 49 e 110. E poi gli episodi in cui Malta ha negato il soccorso e reindirizzato le barche verso l’Italia. La procura di Ragusa ha aperto un’inchiesta sul caso di 101 sopravvissuti partiti dalla Libia tra il 9 e il 10 aprile e arrivati a Pozzallo il 12. Video mostrano le forze armate maltesi indicare loro la direzione verso cui proseguire e addirittura rifornirli di benzina e cambiare il motore. Le coste sullo sfondo rendono altamente probabile che l’episodio si sia svolto in acque territoriali. Il quarto comportamento lesivo dei diritti è il trattenimento dal 30 aprile al 6 giugno di 425 persone su quattro navi ancorate a 13 miglia dall’isola. La motivazione ufficiale è una (prolungata) quarantena, ma per Amnesty è stata una forma di detenzione.
TRA L’1 GENNAIO E IL 31 AGOSTO sono sbarcati a Malta 2.161 migranti, un numero limitato ma «considerevole» per un paese con una popolazione inferiore a 500mila abitanti (nello stesso periodo in Italia ne sono giunti 19.194, cioè quasi nove volte tanti a fronte di un numero di abitanti 120 volte superiore). Il rapporto di Amnesty, dunque, sottolinea le responsabilità europee e soprattutto l’urgenza di stabilire un sistema automatico di redistribuzione dei migranti. «L’assenza di questo meccanismo però – precisa il rapporto – non solleva Malta dalla responsabilità di indicare un porto sicuro per lo sbarco delle persone salvate sotto il suo coordinamento». Come i 27 naufraghi che da 35 giorni si trovano a bordo della petroliera Etienne e su cui il governo di La Valletta sta conducendo una prova di forza. Nonostante le condizioni a bordo si siano deteriorate, nonostante gli appelli di Unchr, Oim, Ics e Commissione europea la nave è ancora bloccata.
LA ETIENNE ha salvato i naufraghi il 4 agosto. Erano stati avvistati dall’aereo Moonbird, di Sea-Watch e Humanitarian Pilots Initiative. Ieri le due Ong hanno comunicato che da venerdì il velivolo non può decollare da Lampedusa a causa di un divieto emesso dall’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) su segnalazione del ministero dell’Interno. L’accusa è una «intensissima attività di volo» che rappresenta «ricerca e soccorso (Sar, ndr) non autorizzata e non coordinata». Dopo le navi bloccate in porto per i troppi salvagenti, è il turno degli aerei tenuti a terra perché testmoni scomodi. «Moonbird non svolge attività Sar ma una intensa e importante attività di monitoraggio dei diritti umani in un tratto di mare dove questi vengono quotidianamente violati», replicano da Sea-Watch.
* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto
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