by redazione | 26 Settembre 2020 10:30
«La verità è che c’è una persecuzione amministrativa contro alcune organizzazioni che operano in mare con grande dignità», afferma il comandante Gregorio de Falco, senatore del gruppo misto. Intanto le partenze non si fermano: 13 dispersi e 3 morti in un naufragio; 135 persone catturate dai libici
Il governo italiano sta provando a bloccare anche Mediterranea. Mentre i preparativi per la partenza del rimorchiatore Mare Jonio volgevano al termine, la capitaneria di porto di Pozzallo ha negato l’autorizzazione all’imbarco di due «tecnici»: Fabrizio Gatti e Iason Apostolopoulos. Il primo è un medico e il secondo un esperto in diritti umani in attività di monitoraggio. Nel documento firmato dal comandante della guardia costiera Donato Zito si legge: «trattasi di due profili che non hanno alcuna attinenza con la tipologia di servizio svolto dal rimorchiatore».
Tecnicamente la questione affonda in una disputa tra il registro italiano navale (Rina) e la guardia costiera: il primo ha certificato che la nave può svolgere attività Sar (di ricerca e soccorso); la seconda ha contestato tale decisione. Su questa base la guardia costiera ha ripetutamente diffidato Mediterranea dallo svolgimento di attività «preordinate e continuative» identificabili come Sar. Dalle diffide è poi passata al divieto di imbarco delle due figure professionali. Il provvedimento, però, è giudicato estremamente debole da esperti e avvocati, che presenteranno ricorso.
«MANCA QUALUNQUE riferimento normativo – afferma il comandante Gregorio de Falco[1], senatore del gruppo misto – Affinché un tecnico possa salire su una nave sono richieste solo due cose: contratto con l’armatore e assicurazione. La natura dell’imbarcazione non c’entra nulla. La verità è un’altra: c’è una persecuzione amministrativa contro alcune organizzazioni che operano in mare con grande dignità». La questione, insomma, è tutta politica.
«Il nostro non è un caso eccezionale: il governo ha bloccato sistematicamente tutte le presenze in mare», afferma Alessandro Metz, armatore di Mediterranea. Al momento non ci sono navi umanitarie: Sea-Watch 3, Sea-Watch 4 e Ocean Viking sono sottoposte a fermo amministrativo; Alan Kurdi[2] è a Olbia in attesa di istruzioni; Open Arms è in quarantena, una misura imposta solo alle imbarcazioni delle Ong (la Asso Ventinove dell’Eni ha salvato 95 migranti, li ha sbarcati a Trapani il 16 settembre ed è ripartita subito dopo verso la Libia). «Nei nostri confronti non hanno trovato cavilli a cui appigliarsi e quindi dicono: potete partire, ma senza le figure necessarie ai soccorsi», continua Metz.
IL CASO HA FATTO ESPLODERE nuovi malumori nella maggioranza. Il parlamentare Pd Matteo Orfini parla di «ennesimo atto di boicottaggio a chi salva vite». «Ho dato la fiducia a questo governo per una discontinuità che non si vede. Con altri colleghi facciamo sempre più fatica», dice de Falco. Dure le accuse degli esponenti di Liberi e Uguali, che si trovano nella difficile posizione di sostenere il governo ma essere anche attivi dentro Mediterranea come garanti.
«Aver impedito l’imbarco dei soccorritori per fare in modo che non possa riprendere le missioni di salvataggio è un’autentica carognata», ha twittato il portavoce nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. Per l’onorevole Rossella Muroni: «mentre a Roma facciamo annunci (sulle modifiche ai decreti sicurezza, ndr) a Pozzallo la capitaneria di porto di fatto impedisce alla Mare Jonio di salpare. Contraddizioni e ipocrisie che non possiamo più permetterci».
LA DISCUSSIONE sulle possibili modifiche alle leggi Salvini e la prosecuzione della guerra alle Ong viaggiano paradossalmente su binari paralleli. Il governo Pd-5S ha neutralizzato la presenza umanitaria nel Mediterraneo attraverso misure di carattere amministrativo che nulla hanno a che vedere con i contestati decreti sicurezza. Potrebbe cancellarli completamente e continuare comunque a bloccare tutta la flotta civile. L’esecutivo, infatti, non ha mai messo in discussione i discorsi e le prassi che criminalizzano la solidarietà, una vicenda che ha ormai radici profonde.
LA STORIA DI APOSTOLOPOULOS ne riflette bene l’evoluzione[3]. L’ingegnere greco ha lasciato tutto nell’ottobre 2015 per andare su una spiaggia di Lesbo e aiutare, insieme ad altri militanti del movimento greco, i profughi che arrivavano dalla Turchia. Da allora ha partecipato, a bordo di navi appartenenti a diverse Ong, a centinaia di operazioni di soccorso che hanno coinvolto migliaia di persone. All’inizio erano coordinate dalla guardia costiera italiana.
Nel 2017 il coordinamento è diventato silenzio. Con il codice Minniti e i porti chiusi di Salvini il silenzio si è trasformato in contrasto. A maggio 2017 i libici hanno sparato sulla nave da cui tentava di salvare dei naufraghi, l’Aquarius. Ora il governo italiano gli dice che non può tornare in mare.
NONOSTANTE NON CI SIANO ONG le partenze dalla Libia continuano. Mentre sul Mediterraneo centrale è in arrivo una bufera, ieri l’Oim ha comunicato un naufragio avvenuto vicino Tripoli: tre morti; 13 dispersi; 22 persone salvate dai pescatori. Seabird, l’ultimo aereo che documenta ciò che accade in mare, ha assistito nel pomeriggio alla cattura di 135 persone. Sul gommone c’erano due morti. La cosiddetta «guardia costiera libica» riporterà i sopravvissuti nei centri di prigionia.
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