Election days. Referendum, i rischi dell’abbinamento con le amministrative
Dimenticate le motivazioni che il governo ha ufficialmente avanzato per organizzare questi inediti election days, l’accoppiata domenica e lunedì di votazioni del tutto diverse come il referendum costituzionale, le regionali e le amministrative. La fuga dai seggi dei presidenti e degli scrutatori designati, per la paura del Covid, sta costringendo molti comuni a ricorrere ai volontari della protezione civile. Conferma, ce ne fosse ancora bisogno, che il voto nazionale (e internazionale) sul referendum è stato abbinato a quello locale non per ragioni di prudenza – peraltro votiamo in pieno stato di emergenza – ma per trainare la partecipazione alla consultazione sul taglio dei parlamentari. Concedendo così ai 5 Stelle un prevedibile (salvo sorprese) trofeo, per nascondere un risultato non buono nelle regioni. E allora ecco che lunedì pomeriggio sarà fondamentale tenere d’occhio un dato, peraltro il primo che sarà disponibile: quello dell’affluenza al referendum. Le previsioni lo inchiodano in basso, tra il 37% e il 42% a livello nazionale. Risultato di una media tra l’affluenza nelle sette regioni dove si vota per i presidenti e i consigli regionali e quella nel resto del paese, dove è prevista più bassa di almeno una decina di punti. Uno squilibrio che può pesare nel risultato finale, nella sfida senza quorum tra i Sì e i No.
Delle previsioni sull’esito del referendum non possiamo parlare per la regole della par condicio. Ma è chiaro che c’è un legame tra l’affluenza alle urne per il referendum e il risultato dei Sì e dei No. Gli elettori contrari al taglio dei parlamentari sono quelli più motivati, quelli che prevedibilmente si recheranno con maggiore voglia ai seggi. Dunque il No può crescere percentualmente in presenza di una bassa affluenza. Come quella prevista nelle 13 regioni dove non ci sono le elezioni regionali. E anche all’estero, dove addirittura in molti paesi c’è una condizione di lockdown e votare è pericoloso. La paura del virus, d’altro canto, come spaventa gli scrutatori spaventa anche gli elettori e dunque va messa in conto una dose di astensionismo «sanitario».
Al contrario, nelle regioni contese c’è una spinta naturale a recarsi alle urne e, di conseguenza, a votare anche per il referendum. Gli elettori che vanno al seggio per partecipare alla scelta del presidente e, trovandosi, votano anche per un referendum che non li appassiona, prevedibilmente non sono gli elettori più motivati a votare No. La somma di queste due tendenze può consegnarci lunedì sera un risultato problematico. Una differenza marcata sul territorio non solo nella partecipazione al referendum, ma anche nel suo esito. Con un Sì solido solo nelle sette regioni dove la consultazione sulla riforma è abbinata al voto sui presidenti. Lo scotto da pagare per avere accontentato i 5 Stelle, abbinando referendum ed elezioni, sarebbe quello di rendere evidente il trucco. Lasciandoci con una riforma costituzionale approvata, ma non condivisa.
Oltre a guardare l’affluenza al referendum, allora, andrà guardata con attenzione l’affluenza alle regionali, due dati che non coincideranno. Cinque anni fa la partecipazione nelle stesse regioni che tornano al voto si mantenne bassa, in due casi – Toscana e Marche – persino sotto il 50%. Ma cinque anni fa le sfide in quelle regioni, e anche in Veneto e in Puglia, erano praticamente già decise in partenza. Non c’era quel richiamo che hanno oggi i testa a testa tra Giani e Ceccardi, tra Emiliano e Fitto, tra Mangialardi e Acquaroli. Sfide che potrebbero convincere gli elettori a tornare ai seggi. Alzare l’affluenza. E così condizionare ancora di più l’esito del referendum.
* Fonte: Andrea Fabozzi, il manifesto
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