Libano. Dopo il disastro, la polizia e poteri speciali all’esercito

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Stato di emergenza, o forse sarebbe più corretto dire Stato di polizia. Con il voto di ieri il parlamento libanese accorda poteri straordinari all’esercito, che può ora liberamente reprimere libertà di parola, stampa e assemblea, irrompere senza mandato in abitazioni private, arrestare arbitrariamente chiunque sia ritenuto pericolo pubblico. Magistratura scalzata, procedimenti giudiziari portati direttamente davanti alle corti militari, esercito a capo di tutte le forze di sicurezza.

IL DECRETO MINISTERIALE emanato dal premier ora dimissionario Diab all’indomani dell’esplosione al porto di Beirut (causa di circa 200 vittime, 6mila feriti e danni incalcolabili) e entrato in vigore il 7 agosto, è stato riconfermato fino al 21. In Libano è necessaria un’autorizzazione parlamentare per lo stato di emergenza che ha durata massima una settimana, poi bisogna rivotare.

Le misure straordinarie prese fino al 7 sono tecnicamente illegali secondo Wissam el-Lahham, professore di diritto all’università Saint Joseph. Non era ancora chiaro neanche ai parlamentari se lo stato di emergenza fosse iniziato con l’annuncio di Diab o se sia cominciato ieri. L’approssimazione non è certo materia di scandalo in Libano.

Fatto sta che ora le misure sono ufficiali e spaventano le associazioni umanitarie come l’Osservatorio per i Diritti umani o Legal Agenda, che hanno già denunciato l’uso eccessivo della forza e di armi illegali da parte della polizia durante le proteste dei giorni scorsi, supportate da referti medici e video che circolano da giorni sui social. Pratiche usuali in Libano su cui già esiste un’ampia letteratura.

DEI 119 PARLAMENTARI riuniti eccezionalmente nella sede blindata dell’Unesco, solo Osama Saad (Organizzazione popolare nasserista) ha votato contro e denunciato la «militarizzazione dello Stato». La risposta dalla terza carica dello Stato e leader di Amal Berri ha sottolineato come l’esercito, nonostante avesse potuto, «non abbia adottato misure di cui il popolo ha paura o soppresso i media e abbia permesso le proteste», ma ha omesso che proprio la Guardia del Parlamento, in teoria al servizio dello Stato, ma formata da ex miliziani di Amal e da persone vicine a Berri – tanto che l’analista politico al-Amin ha parlato in passato di guardia personale di Berri pagata dallo Stato – è stata il corpo più violento negli scontri di questi giorni, come conferma la nostra intervista a Marwan Hamdan dell’8 agosto e numerose testimonianze.

Se da un lato l’evento eccezionale del 4 agosto richiede un intervento eccezionale, non bisogna dimenticare che in Libano è in atto una rivolta popolare da ottobre. Lo stato di emergenza potrebbe essere l’occasione per arrestare sommariamente centinaia di attivisti che si sono esposti in questi mesi, dando il via libera a pratiche già largamente utilizzate.

SUL VERSANTE SANITARIO la situazione non migliora: il ministro della salute ha annunciato la possibilità di nuovi lockdown per l’aumento dei casi di Covid (ieri 298 e tre morti).

Giornata ricca di eventi quella di ieri: appuntato il giudice militare Fadi Sawan per l’inchiesta sull’esplosione al porto su suggerimento della ministra della giustizia Najem del governo Diab. Avrà il supporto dell’Fbi e di 22 investigatori francesi.

E poi la pace storica tra Emirati e Israele, mediata da Trump, proprio alla vigilia dell’arrivo del sottosegretario di Stato per gli Affari politici David Hale, ex ambasciatore in Libano. Un clima generale in cui Hezbollah è sempre più isolato.

Lo stato di polizia è solo l’ennesima conferma che in Libano si fanno gli interessi di tutti, tranne che del popolo.

* Fonte: Pasquale Porciello, il manifesto



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