L’Atlante geopolitico del disordine nell’Alleanza atlantica
L’atlante del disordine della Nato comincia sotto casa nostra, in Libia, risale l’Egeo, raggiunge, con il ritiro di parte delle truppe Usa dalla Germania, la frontiera orientale con la Russia e si prolunga nel Caucaso e in Afghanistan.
Somiglia all’arco della crisi descritto all’alba degli anni Ottanta dal consigliere per la sicurezza nazionale di Carter Brzezinski ma allora c’era la guerra fredda, un solo nemico, l’Unione Sovietica, e almeno in apparenza i membri dell’Alleanza atlantica erano tutti d’accordo compresa quella Turchia _ allora in pugno ai generali kemalisti adesso a Erdogan _ che ora la Francia vorrebbe cacciare dalla Nato.
A meno che un giorno non sia lo stesso Erdogan a decidere di andarsene per coagulare il consenso popolare che sta perdendo con la caduta dell’economia: sono tempi in cui nulla si può escludere, basti pensare al fatto che Ankara, unico Paese dell’Alleanza, ha acquistato missili e reattori nucleari dalla Russia, una decisione che le è costata il blocco della fornitura di F-35 ma sui cui non ha fatto marcia indietro.
Nonostante la forte contrapposizione tra russi e turchi in Siria e in Libia, il riavvicinamento tra Putin ed Erdogan dopo la crisi del 2015, quando i due Paesi sembravano sull’orlo di una guerra, è stata una delle mosse più rilevanti della politica internazionale, favorita dal fallito colpo di stato del luglio 2016: lo zar russo è stato quello che ha portato immediata solidarietà al presidente turco sempre più diffidente nei confronti degli europei e degli Stati Uniti che si tengono in casa l’imam Fethullah Gulen, ritenuto da Ankara l’ispiratore del golpe.
La Turchia, un tempo il bastione Nato sul fronte sud-orientale, ha più volte rifiutato agli Usa l’uso della base aerea di Incirlik, invece di bombardare il Califfato ha massacrato i curdi, alleati dell’Occidente contro l’Isis, e si sta servendo in Libia dei miliziani legati ad Al Qaida.
La realtà è che americani ed europei, anche per la loro complicità, sono sottoposti da Ankara a continui ricatti e provocazioni di cui Santa Sofia è solo l’ultimo esempio.
A parte le perenni tensioni greco-turche, difficile scovare nella storia della Nato qualche cosa di più sconcertante di quanto accaduto nelle acque libiche quando la fregata francese Courbet è stata illuminata tre volte dal puntatore laser dei lanciamissili della marina turca che scortavano un cargo di armi destinato al governo di Tripoli in violazione dell’embargo. Macron è tornato a citare la “morte cerebrale della Nato” anche per distrarre l’opinione pubblica dal fatto di avere sostenuto in Libia il cavallo sbagliato, il generale Khalifa Haftar.
E due giorni fa, per rincarare la dose, le navi turche si sono presentate a rivendicare i diritti di esplorazione petrolifera al largo di Cipro, in base agli accordi firmati dal libico Sarraj con la Turchia sull’estensione dei confini marittimi, seguiti dalla concessione di basi militari ad Ankara.
Il caso Turchia dentro la Nato e in Europa viene affrontato con due correnti di pensiero diverse. Per ora prevale quella guidata dalla Germania che vede in Erdogan un partner cui delegare il ruolo, profumatamente pagato, di poliziotto dei profughi. L’altra invece considera Erdogan un rivale contro il quale creare alleanze alternative.
La Francia la pensa così e sponsorizza un asse composto da Grecia, Egitto, Cipro e Israele (nel ruolo di supporto alle rivendicazioni elleniche) che comprende anche la realizzazione del gasdotto EastMed, in cui credono poco i vertici dell’Eni ma che serve a costituire un blocco di interessi del fronte anti-Ankara.
É interessante notare che se l’Italia si è sfilata dalle dichiarazioni più anti-turche di questo asse ha però accelerato le forniture di navi militari e armi all’Egitto: “Non vedo in questo dei rischi” testuali parole del ministro della Difesa Guerini davanti alla commissione d’inchiesta Regeni. Beato lui che non li vede ma si intuisce perfettamente che l’Italia nei fatti sta spostando il suo asse in linea con gli interessi militari ed energetici del Cairo (che nel gas coincidono con quelli dell’Eni) e sul piano geopolitico con quelli delle monarchie del Golfo più anti-turche come sauditi ed Emirati, ostili al Qatar e ai Fratelli Musulmani protetti da Erdogan.
Ma a parte il caso turco è dentro al suo cuore pulsante che la Nato sprofonda nel disordine o in un “nuovo ordine” assai incerto. La decisione americana di ritirare 12mila soldati dalla Germania (la presenza Usa sarà ridotta da 36mila a 24mila) non è tanto un riposizionamento delle truppe come viene contrabbandato dal Pentagono ma una rappresaglia contro Berlino, già messa indirettamente sotto sanzioni per il gasdotto Nord Stream 2 con la Russia. I tedeschi ne sono convinti: secondo la Cdu il ritiro «indebolisce l’Alleanza nei confronti della Russia ma anche nei conflitti nel Mediterraneo e in Medio Oriente». Una cosa è certa: più confusa di così la Nato non è mai stata.
* Fonte: Alberto Negri, il manifesto
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