Il terremoto del Centro Italia. Montagne di ordinanze su montagne di macerie

Il terremoto del Centro Italia. Montagne di ordinanze su montagne di macerie

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Quattro anni dopo la scossa che buttò giù Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, il numero che riassume in sé tutto il doposisma è una percentuale: il 17 percento. È la cifra delle richieste di contributo arrivate al commissario per la ricostruzione per rimettere in piedi la propria casa danneggiata o distrutta: 13.948 domande su 80.346 edifici crepati o dei quali restano soltanto le macerie. Ribaltando il punto di vista: per l’83% delle case e dei palazzi non è stato nemmeno aperto un fascicolo amministrativo, altro che lavori in corso.Perché i terremotati non presentano nemmeno i documenti necessari a rimettere in piedi la propria casa? Burocrazia troppo lenta e complicata, stanchezza, percorsi troppo accidentati tra un ufficio e l’altro, tecnici che non sanno dove mettere le mani, anche perché si trovano di fronte a richieste sempre diverse da parte dei funzionari dei vari enti coinvolti: comuni, province, regioni, ufficio per la ricostruzione, protezione civile, in qualche caso addirittura istituzioni ecclesiastiche. Ricostruire la vita di una pratica è peggio che scrivere la biografia di uno sconosciuto.

IN 1.461 GIORNI si sono alternati quattro governi, quattro commissari alla ricostruzione che hanno emanato oltre cento ordinanze, due capi della protezione civile che pure hanno prodotto centinaia di atti amministrativi, due regioni su quattro hanno cambiato governatore e diversi sindaci, tra cui la star della prima ora Sergio Pirozzi di Amatrice finito a Roma in consiglio regionale, hanno sgomberato il campo per lidi migliori o per ritirarsi a vita privata. Il sindaco di Norcia Nicola Alemanno, per scherzo ma anche no, è arrivato a stimare che il totale dei documenti pubblici con valore di legge o di ordinanza prodotti nel doposisma supera il metro di altezza. Una follia burocratica a coprire un dettaglio che nel tempo è diventato chiaro a tutti: nessuno, o quasi, nel mondo della politica vuole avere a che fare con il terremoto dell’Italia centrale. Un po’ perché è un argomento che fa solo perdere consensi a chi lo deve gestire e un po’ perché tutti quanti hanno ben stampata nella memoria l’odissea giudiziaria di diversi protagonisti del terremoto di L’Aquila. Questa lentezza esasperante riguarda 138 comuni compresi nel cratere sismico e altri 353 fuori.

Fatto sta che sono ci sono ancora quarantunomila persone fuori di casa, trentacinquemila delle quali percepiscono il Cas (il contributo per l’affitto) mentre gli altri sono alloggiati nelle casette di plastica e legno note come Sae, Soluzioni abitative di emergenza.

Il totale dei cantieri in corso è 2.758, con 2.544 edifici riparati – su un totale, come abbiamo visto, di oltre 80mila – per un’erogazione da parte della Cassa depositi e prestiti di 526 milioni di euro, quasi tutti arrivati in tre tronconi tra il 2019 e il primo semestre del 2020. Di strada da fare ne manca moltissima, e solo di recente, con le ultime ordinanze di riordino del commissario Legnini, si comincia a dire che forse i lavori potrebbero accelerare.

Per quello che invece riguarda la ricostruzione pubblica, il totale dei finanziamenti erogati riguarda 1.405 edifici tra scuole, caserme, cinema, teatri, ospedali, sedi municipali, impianti sportivi, mura e cimiteri. Le risorse impegnate sono imponenti: un miliardo di euro abbondante per le Marche, 258 milioni per il Lazio, 228 milioni per l’Umbria e 225 milioni per l’Abruzzo. Sul totale degli interventi, 585 sono quelli non avviati, 315 quelli in fase di gara di progettazione, 293 quelli per cui i progetti sono stati affidati, 85 con lavori in corso, 86 con lavori conclusi e 41 infine sono le rinunce e le revoche.

Le chiese danneggiate sono 942, oltre la metà delle quali nelle Marche. In cento casi i lavori sono stati portati a termine, in 742 no. Gli impegni di spesa sono imponenti: 284 milioni nelle Marche, 80 milioni in Umbria, 60 milioni nel Lazio e 47 milioni in Abruzzo.

BASTA FARE UN GIRO nei paesi del cratere per rendersi conto che la situazione non è troppo diversa da quella dell’anno scorso, che a sua volta era in tutto e per tutto simile a quella di dodici mesi prima, che tutto sommato non si discosta più di tanto dal momento immediatamente successivo al terremoto: un terzo delle macerie è ancora da raccogliere, il panorama è un insieme di case sventrate, la circolazione per le strade provinciali è in parte interrotta. Le persone, in giro, sembrano aspettare più un intervento divino che una svolta politica nella (non) gestione del cratere degli ultimi quattro anni.

DI RICOSTRUZIONE si è parlato nel decreto Cura Italia del 19 maggio scorso, convertito in legge poco più di un mese fa, con l’introduzione in via temporanea di un bonus edilizio con una detrazione d’imposta pari al 110% del valore dei lavori effettuati, fino a 136mila euro per unità immobiliare. Molti hanno cominciato a muoversi solo nelle ultime settimane, attratti in sostanza dalla possibilità di ricevere indietro dallo Stato più soldi di quelli che vengono spesi per i lavori. Peraltro c’è la possibilità di cedere il credito d’imposta alle banche o alle imprese che eseguono i lavori e questo, almeno in teoria, sarebbe un incentivo a far partire i cantieri. L’unica preoccupazione che si registra nei comuni a questo proposito è la capacità che avranno gli uffici di fronteggiare la mole di domande in arrivo

* Fonte: Mario Di Vito, il manifesto

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