by redazione | 18 Agosto 2020 9:50
Il sostegno all’economia della Tunisia ci sarà. La ministra dell’interno Luciana Lamorgese e quello degli Esteri Luigi Di Maio si sono impegnati in tal senso con il presidente tunisino Kais Saied, con il premier incaricato Hichem Mechichi e con la ministra degli Esteri ad interim Selma Enneifer che hanno incontrato ieri a Tunisi insieme ai commissari europei agli Affari Interni e all’Allargamento, Yilva Johannson e Oliver Varhelji.
Ma fin da subito l’Italia e l’Europa chiedono a Tunisi di impegnarsi per fermare i migranti. Impegno che sono disposti a finanziare con 21 milioni di euro, 11 sbloccati dal Viminale e frutto dei risparmi avuti dal capitolo sull’accoglienza dei migranti, e 10 messi a disposizione dall’Unione europea.
Soldi che serviranno per un controllo più serrato dei confini, per la manutenzione delle motovedette e per acquistarne di nuove, ma anche per l’addestramento delle forze di sicurezza, l’acquisto di radar e la creazione di un sistema informativo che permetterà alla Guardia costiera tunisina di bloccare i barconi prima che raggiungano le acque internazionali.
«L’Italia è sempre in prima linea nel sostenere la Tunisia con azioni concrete – ha spiegato Lamorgese di ritorno da Tunisi – ma per contrastare il traffico di migranti serve uno sforzo in più perché la pressione esercitata sul nostro Paese crea una situazione di seria difficoltà aggravata dall’emergenza sanitaria Covid 19».
E’ una Tunisia disperata quella dove è approdata ieri la missione italo-europea. Un Paese messo in ginocchio da una crisi sociale ed economica resa ancora più grave dalla pandemia e che in autunno, stando ad alcune previsioni, potrebbe portare ad un aumento della disoccupazione di 200 mila unità. Persone che, se non tutte, almeno in parte andranno ad aggiungersi a quanti già oggi cercano di arrivare in Europa.
Non a caso il premier Mechichi, parlando ai ministri italiani e ai commissari europei, ha voluto sottolineato l’importanza della cooperazione «Lo sviluppo economico è prioritario per la Tunisia anche per ricreare fiducia negli investitori», ha spiegato. Insomma, un approccio securitario andrà anche bene per gli europei, ma servono progetti, investimenti nelle aree interne del Paese da dove parte la maggioranza dei migranti. «Progetti che possano creare posti di lavoro ai giovani e dare loro la possibilità di rimanere nel proprio Paese», ha detto. E soprattutto, ha insistito Mechichi, occorre semplificare la burocrazia che oggi rallenta i finanziamenti europei al Paese.
Bruxelles impegna qualcosa come 300 milioni di euro l’anno per la cooperazione in Tunisia, ma solo un terzo di quei soldi arriva davvero a destinazione a causa delle lungaggini burocratiche.
I due commissari si sarebbero impegnati a velocizzare le pratiche, ma va da sé che la contropartita che l’Italia e l’Ue chiedono a Tunisi è di chiudere i suoi confini e di accettare un numero maggiore di suoi cittadini rimandati indietro dall’Europa. Insieme a Egitto, Marocco e Nigeria, la Tunisia è uno dei quattro paesi con cui l’Italia ha un accordo bilaterale che oggi, dopo lo stop dei mesi scorsi imposto dal coronavirus, prevede al massimo 80 rimpatri a settimana. Numero che adesso il governo giallorosso vorrebbe aumentare visto che quella tunisina rappresenta la nazionalità più numerosa tra quanti sono sbarcati nel nostra Paese dall’inizio dell’anno: 6.500 su 15 mila circa, quasi tutti arrivati autonomamente con piccole imbarcazioni. «Voglio essere chiaro: chi arriva in Italia in modo irregolare non potrà usufruire di alcuna opportunità di regolarizzazione. L’unico esito di un arrivo irregolare è un rimpatrio», ha affermato ieri il ministro Di Maio, che però a fine luglio ha chiesto di bloccare 6,5 milioni di euro di fondi della cooperazione in favore di Tunisi.
Intanto c’è paura per la sorte di 65 migranti a bordo di un imbarcazione al largo della Libia e della quale non si hanno più notizie. «Abbiamo chiesto un intervento di soccorso, ma tutte le autorità hanno rifiutato di assumersi le responsabilità», ha denunciato la piattaforma Alarm Phone dopo aver dato l’allarme.
* Fonte: Carlo Lania, il manifesto[1]
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