* Fonte: il manifesto
Asia. Sospesi tre trattati, si approfondisce lo scontro Usa-Hong Kong
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L’amministrazione del presidente Donald Trump ha recentemente inferto un altro colpo a Hong Kong, convinta di indebolire il Partito comunista cinese.Il Dipartimento di Stato ha annunciato la sospensione unilaterale di tre trattati con l’ex colonia britannica, che riguardano la consegna dei ricercati latitanti, il trasferimento delle persone condannate e le esenzioni fiscali reciproche legate al trasporto navale.
L’interruzione del trattato di estradizione – già adottata da Canada, Australia, Francia, Germania e Regno unito – è l’ennesima misura Usa per fare pressioni sulla Cina. Già il mese scorso Trump, con la firma dell’ordine esecutivo che ha posto fine allo status commerciale speciale di Hong Kong con gli Usa, ha equiparato economicamente e politicamente l’ex colonia britannica alla Cina continentale. Il governo americano infatti accusa Pechino di minare l’alto grado di autonomia che il Partito comunista ha promesso al Regno unito e al popolo di Hong Kong per 50 anni, in base alla Dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984.
La decisione dell’inquilino della Casa bianca non è stata accolta positivamente dal governo di Hong Kong, che accusa Washington di usare la città come una pedina nel duello con il gigante asiatico combattuto su più fronti. Immediata è stata la risposta dell’amministrazione locale che ha sospeso le collaborazioni giudiziarie con gli Stati uniti.
Nel sottolineare come la stop dei trattati avrà un impatto maggiore sugli Usa, Hong Kong ha ricordato a Washington che da quando l’accordo di estradizione è entrato in vigore nel 1998, 69 persone sono state consegnate con successo agli Stati uniti, mentre solo 23 condannati sono stati trasferiti dal territorio americano a quello hongkonghese.
Un rallentamento c’è stato nel 2012: la regione amministrativa speciale non ha approvato alcuna domanda di estradizione per i dubbi legati al sistema detentivo e giudiziario statunitense.
La mossa americana spaventa il governo guidato dalla governatrice Carrie Lam, che teme di perdere il favore commerciale che ha reso Hong Kong uno dei più grandi hub finanziari d’Asia: molte aziende dell’ex protettorato britannico potrebbero subire un crollo economico con lo stop dell’esenzione fiscale.
Ma il governo locale assicura: nonostante l’aumento dei costi operativi per le compagnie di navigazione statunitensi e hongkonghesi, applicherà una doppia tassazione alle imbarcazioni battenti bandiera a stelle e strisce.
Un altro episodio minaccia le deboli relazioni tra Washington e Hong Kong e c’è da domandarsi come sarà presentato in futuro agli studenti dell’ex colonia britannica. Perché con il nuovo anno scolastico, dai libri di testo saranno rimossi i riferimenti alla separazione dei poteri e ai gruppi politici pro democratici, mentre saranno inseriti quelli positivi al Partito comunista cinese: è la decisione di sei editori scolastici, che hanno accettato di prendere parte a un programma di screening volontario stabilito dalle autorità educative. Un processo che potrebbe presto diventare obbligatorio.
Come sta accadendo in Cina, il sistema scolastico dell’ex colonia britannica sta introducendo gradualmente una educazione patriottica. Il curriculum obbligatorio di studi liberali – che si basa sui fondamenti della democrazia e dei diritti civili – è visto da Pechino e da Hong Kong come lo strumento che ha alimentato negli ultimi anni le proteste guidate da molti giovani
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