Adriano Giannola, presidente Svimez: «Bloccare i licenziamenti non è ingessare l’economia»
A causa della pandemia, il Mezzogiorno perderà quest’anno 380 mila posti di lavoro. È la previsione della Svimez, che segnala: «Il calo dell’occupazione nel 2020 dovrebbe attestarsi intorno al 3,5% nel centro nord (circa 600 mila occupati) e intorno al 6% al sud (circa 380mila). La ripresa dell’occupazione nel 2021 si dovrebbe attestare al 2,2% a livello nazionale per effetto di una crescita dell’1,3% nel Mezzogiorno e del 2,5% nel Centro-Nord». A causa di questa dinamica «il numero di lavoratori meridionale scenderebbe intorno ai 5,8 milioni, su livelli inferiori a quelli del 2014, al culmine di una doppia fase recessiva». Il dl Agosto approvato venerdì sera, «salvo intese tecniche», ha una funzione «difensiva», spiega il presidente Svimez, Adriano Giannola.
Il decreto frena i licenziamenti, Confindustria è contraria.
Le imprese dicono che vogliono ripartire e il blocco ingessa l’economia, mi sembra un argomento pretestuoso. Un punto così delicato va discusso con governo e sindacati, non si può semplicemente dare mano libera. È vero che fermare i licenziamenti ha un impatto sulle aziende ma è anche vero che hanno avuto aiuti. C’è bisogno di strumenti come la cassa integrazione, che consentono di raffreddare la temperatura della crisi. Non mi sembra che mettere in campo misure per frenare i licenziamenti fino a dicembre sia ingabbiare l’economia. Del resto il Nord ha avuto un danno dalla pandemia ma non c’è stato un azzeramento: erano già nella fase «industria 4.0» e sono pronti per quella successiva, 5.0.
Il ministro Provenzano ha fatto inserire nel dl l’abbattimento del 30% dei contributi previdenziali per le imprese del Sud.
Si tratta di una misura necessaria che va letta per quello che rappresenta: una manovra difensiva che non è detto che generi nuova occupazione. Visto quello che è successo con la crisi del 2007, quando il Sud perse il 30% della capacità produttiva, adesso si cerca di consentire alle imprese esistenti di reggere, si cerca cioè di rendere più resistente il tessuto produttivo in difficoltà. In effetti, è la classica politica di fiscalizzazione degli oneri sociali che, con l’accordo Pagliarini-Van Miert del 1994, l’Europa ci costrinse ad abbandonare del tutto nel 1997. Ora l’Ue ha cambiato idea e ci consentirà di attuarla di nuovo, ma dopo averla vagliata. Piuttosto, bisogna stare attenti con questo tipo di misure. Se non si fa cresce l’economia, aumentando i posti di lavoro nel complesso, si rischiano effetti distorsivi del mercato: categorie di lavoratori, che usufruiscono di agevolazioni, sostituiscono le altre che non li hanno.
Quale dovrebbe essere il passo successivo del governo?
Questi primi interventi sono serviti a porre una sorta di «linea Maginot», ma poi servirà andare all’attacco. Ci vogliono investimenti pubblici subito, nessun privato si sostituirà allo stato per trainare l’economia. Il governo ha l’obbligo di privilegiare il Sud, del resto è nella «ragione sociale» del Recovery fund ridurre le disuguaglianze territoriali ed è il motivo per cui l’Europa ha messo in campo questo strumento. In settori fondamentali come istruzione e sanità, i residenti del Sud soffrono di diritti di cittadinanza attenuati. Si tratta però di un nervo scoperto per il paese: Confindustria ha subito agitato il tema del «vento del Nord» seguita dal governatore Pd dell’Emilia Romagna Bonaccini, che alla vigilia dell’approvazione del dl Agosto ha commentato «ok sgravi al Sud ma attenzione sul Nord». Il Mezzogiorno aspetta di essere rimesso in moto da 20 anni. Il Nord funziona come subfornitore della Germania e adesso è la stessa Germani, attraverso i fondi Ue, a chiedere di sviluppare il Sud.
Quali leve utilizzare?
Priorità ai porti e retro porti, alle infrastrutture che aggancino il Mediterraneo all’Europa. Nel 2017 con il decreto Mezzogiorno sono state istituite le Zone economiche speciali: sono state attivate sei Zes ma non funzionano perché non sono state fatte le semplificazioni burocratiche. Tre anni sprecati. Ci vuole l’alta velocità fino a Catania. Lo sviluppo si crea rimettendo in piedi il Meridione, cioè il mercato interno che sostiene anche l’economia del Nord. Il Settentrione, invece, ha preferito utilizzare politiche estrattive delle risorse del Sud, finendo per ammazzarlo. Cosa che, a sua volta, ha bloccato la crescita dell’Italia. Bisogna innescare il treno che connette il Sud al continente, recuperare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Senza l’Italia l’Ue sparisce da un’area strategica, che adesso sta occupando la Turchia.
* Fonte: Adriana Pollice, il manifesto
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