La pandemia e i suoi effetti: ogni giorno 12mila persone a rischio di morte per fame
«Da quando la stagione del raccolto è finita non ho più un lavoro. Con i pochi soldi che sono riuscita a farmi prestare ho potuto comprare solo del pane, ma non basta a sfamare i miei figli» racconta Wardeh madre di sette figli, rimasta sola dopo aver perso il marito. Quando riesce a lavorare la sua paga è inferiore ai due euro al giorno. Succede in Siria dove, a oltre dieci anni dall’inizio della guerra, ai 9,3 milioni che soffrono la fame si potrebbero aggiungere altri due milioni a causa del collasso dell’economia e dell’aumento stratosferico dei prezzi dei beni di prima necessità come il pane causati dalle restrizioni adottate per fermare il contagio da Coronavirus.
È una delle testimonianze raccolte dal rapporto Oxfam «Il virus della fame» da cui emerge che 121 milioni di persone in più potrebbero ritrovarsi nel 2020 senza nulla da mangiare per periodi prolungati, a causa dell’impatto economico e sociale collegato alla pandemia. Il 65% delle persone colpite da grave denutrizione vive in soli 10 paesi, tra i quali ci sono l’Afghanistan e il Sud Sudan.
In Yemen nei primi 4 mesi dell’anno le rimesse sono crollate dell’80% – per 253 milioni di dollari – come conseguenza della grande perdita di posti di lavoro nel Golfo. La chiusura di confini e vie di approvvigionamento ha inoltre portato a una diminuzione delle scorte e fatto schizzare i prezzi alimentari, in un paese che importa il 90% del suo cibo: solo a marzo le importazioni di beni alimentari erano crollate del 43%.
Questa emergenza ha colpito anche i paesi a medio reddito come India, Sud Africa e Brasile. Nel paese governato da Jair Bolsonaro milioni di lavoratori poveri, privi di risparmi o sussidi su cui contare, hanno perso ogni forma di reddito a causa del lockdown e dello smantellamento dei sistemi di tutela sociale e alimentare. A fine giugno solo il 10% del sostegno finanziario promesso dal governo federale era stato erogato.
In India il confinamento ha lasciato gli agricoltori senza poter contare sull’aiuto dei lavoratori migranti in piena stagione del raccolto, con la conseguenza che in buona parte è andato completamente perso. I commercianti per la stessa ragione non hanno potuto raggiungere le comunità tribali e comprare i prodotti raccolti nelle foreste – come il tamarindo o i semi di karanja.
Oggi circa 100 milioni di persone sono state private della loro principale fonte di reddito. In tutti questi paesi, è l’analisi di Oxfam, sono le donne – e le famiglie che dalle donne dipendono – ad essere maggiormente esposte al rischio della fame, nonostante il fatto che continuino a lavorare anche in maniera informale. La pandemia ha accentuato una vulnerabilità già esistente, dovuta alla discriminazione che le porta a guadagnare meno o ad avere meno beni rispetto agli uomini.
Secondo Oxfam entro la fine del 2020, 12 mila persone al giorno potrebbero morire a causa della fame innescata dalla pandemia Covid-19. Potenzialmente più di quanti ne stia uccidendo già oggi il virus: circa 10 mila vittime al giorno in tutto il mondo. Tutto questo sta avvenendo in paesi già devastati da guerre, disuguaglianze, cambiamenti climatici che continuano ad impoverire milioni di piccoli produttori e lavoratori agricoli, causando tra l’altro anche le migrazioni.
«In totale, a causa della pandemia oltre 270 milioni di persone – che già lottano per sopravvivere a guerre, disuguaglianze, cambiamenti climatici – quest’anno potrebbero finire nella morsa della fame cronica, vale a dire un aumento dell’82% rispetto all’anno scorso – sostiene Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia – Allo stesso tempo, le otto più grandi aziende dell’alimentare hanno provveduto a versare ai propri azionisti ben 18 miliardi di dollari, a partire da gennaio quando l’epidemia si è diffusa. Una cifra dieci volte superiore a quella che le Nazioni Unite stimano come necessaria a sconfiggere la piaga della fame nel mondo».
* Fonte: Mario Pierro, il manifesto
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