Il Governo Conte semplifica gli appalti, 130 opere a rischio deregolamentazione

Il Governo Conte semplifica gli appalti, 130 opere a rischio deregolamentazione

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Conte: «Un trampolino per il lancio del paese». Loredana De Petris (leU): “Il Parlamento dovrà intervenire a fondo sul decreto. C’è il rischio che nell’edilizia si traduca in una deregolamentazione”. Bonelli (Verdi): “La ricetta di Conte, far saltare le regole, è la stessa di Berlusconi quando tra il 2008 e il 2011”

ROMA. Per «sbloccare» 130 opere considerate prioritarie dal piano «Italia Veloce», approvato l’altro ieri all’alba dal consiglio dei ministri insieme al «decreto semplificazioni», nella maggioranza è stata raggiunta una mediazione: le principali deroghe alle gare d’appalto, i commissariamenti e le modifiche alla responsabilità erariale, dureranno fino al 31 luglio 2021. Non più dunque la sospensione pluriennale, come ipotizzato in queste settimane, ma una limitata nel tempo e per specifiche materie.

SU PROPOSTA della ministra delle infrastrutture Paola De Micheli (Pd), e sentito il ministro dell’economia Roberto Gualtieri (Pd), Conte varerà una serie di «Dpcm» – i decreti da stato di emergenza conosciuti durante il lockdown – per scegliere le opere effettivamente da fare partire (entro il prossimo 30 dicembre) e i commissari da nominare. Le opere da commissariare sarebbero trentasei nel prossimo anno. Queste funzioni potranno essere attribuite a commissari ad hoc o alle stazioni appaltanti.

IN VIA TRANSITORIA, il governo ha deciso che non ci saranno gare, ma solo affidamenti diretti senza bando per appalti inferiori a 150 mila euro. Per gli appalti fino a 5 milioni di euro non ci sarà un bando, anche se la gara sarà negoziata tra un ristretto numero di imprese. Per appalti sopra i 5 milioni la gara ci sarà, ma con un’abbreviazione dei termini, tranne nei casi in cui sarà apposta la «causale Covid». Allora si andrà avanti con una procedura negoziata e con gli inviti alle imprese. Sempre per dodici mesi il governo ha deciso che i funzionari pubblici non avranno più la «paura della firma» perché il decreto ha limitato la loro responsabilità per danno erariale al solo dolo, ma resta invariata sulle omissioni in atti di ufficio. Per Conte «resterà la responsabilità per colpa, per omissioni e quindi inerzie, ritardi. È un incentivo a operare. Colpiamo chi non fa». In molti hanno avanzato in questi gionri dubbi di costituzionalità.

«LE OPERE non si bloccheranno più» ha assicurato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso di una conferenza stampa. «I procedimenti amministrativi» saranno «con sentenza breve» e «le stazioni appaltanti» procederanno «anche in presenza di contenzioso», ha sottolineato Conte. La pubblica amministrazione, al centro di tutti gli strali del governo, potrà «esporre una volta sola le ragioni che giustifichino il non accoglimento» delle istanze e «chi non risponde in tempo non potrà più intervenire».

NON DIVERSAMENTE dai suoi predecessori, a partire da se stesso l’anno scorso con lo «Sblocca Cantieri» approvato dal governo Lega+Cinque Stelle Conte ha evocato una rinnovata illusione di immediatezza nella gestione digitale: «Offriamo una strada a scorrimento veloce, un rapporto leggero a portata di click fra le persone e lo Stato- ha detto – Alziamo il limite di velocità, l’Italia deve correre ma alziamo anche gli autovelox: non vogliamo offrire spazio a appetiti criminali che alterano la concorrenza e fanno guadagni indebiti».

LA FASE «accelerazionista» del premier, l’altro lato delle sue valutazioni estetiche sull’economia («Sarà un anno bellissimo», disse nel febbraio 2019, non è andata così) è, politicamente, comprensibile con la volontà di dimostrare che il governo «fa le riforme». Un’esigenza reputata necessaria in vista del Consiglio europeo sul «Recovery Plan» della prossima settimana. Ma non è detto che questo sia il punto di arrivo di un provvedimento che ha avuto bisogno di sei settimane per essere approvato «salvo intese».

«IL GOVERNO è sulla strada giusta» ha sostenuto Nicola Zingaretti, segretario del Pd. Il capogruppo del partito alla Camera Graziano Delrio ha rivendicato la reintroduzione dell’attestato di regolarità contributiva «Durc», considerato l’antidoto «ad una pericolosa deregulation». «Il decreto ci darà lo slancio» per rialzare il paese ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio (Cinque Stelle). Dopo avere incalzato Conte, in un asse inedito con i Cinque Stelle, Matteo Renzi (Italia Viva) si è detto soddisfatto. Lui avrebbe preferito ben altre deregolamentazioni. «Non è un piano choc, ma va nella giusta direzione. Ora basta polemiche». Le sue. Perché il testo, di cui si aspetterà nei prossimi giorni la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, non è piaciuto a LeU.

«IL PARLAMENTO dovrà intervenire a fondo sul decreto – ha detto Loredana De Petris presidente del gruppo Misto – I centri storici e i territori urbani consolidati devono essere difesi e va dunque mantenuto il rispetto dei piani urbani e dei programmi di rigenerazione. Non possono essere compressi i tempi dell’osservazione pubblica: i cittadini devono poter intervenire». «Il decreto semplifica una sola cosa, l’aggressione al territorio attraverso l’indebolimento della valutazione d’impatto ambientale – ha detto Angelo Bonelli dei Verdi – La ricetta di Conte, far saltare le regole, è la stessa di Berlusconi tra il 2008 e il 2011».

* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto



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