by redazione | 1 Luglio 2020 10:49
Neppure il Covid-19 è riuscito a fermare in Colombia la strage di leader popolari e di ex combattenti. In meno di 48 ore, tra sabato e domenica, ne sono stati uccisi sei, tra cui il dirigente contadino Yoanny Vanegas, che aveva preso parte alle manifestazioni pacifiche realizzate nel dipartimento di Meta tra maggio e giugno contro l’eradicazione forzata delle coltivazioni illecite, portata avanti in violazione del Piano nazionale di sostituzione volontaria di tali coltivazioni previsto dagli Accordi di pace.
Stessa sorte per il giovane leader contadino Salvador Jaime Durán, ucciso nella regione di Catatumbo da un gruppo di sei militari, identificati, catturati e poi consegnati alle autorità da membri della comunità accorsi sul luogo al momento degli spari.
Tra le vittime anche un ex guerrigliero delle Farc, Raúl Liponce Perucho, assassinato nel dipartimento di Putumayo: con lui salgono a 214 gli ex combattenti caduti a partire dall’inizio del mandato presidenziale di Iván Duque (7 agosto 2018) mentre, nello stesso periodo, sarebbero 721 i leader popolari uccisi dal paramilitarismo, soprattutto nel quadro della lotta contro l’estrattivismo minerario e la concentrazione della terra, più di 100 solo nei primi sei mesi di quest’anno.
Di fronte alla strage in corso, il presidente si comporta esattamente come dinanzi al numero, in rapida crescita, dei contagi (oltre 90mila, più della Cina) e dei decessi (più di 3.200): minimizzando e ostentando sicurezza.
Una reazione decisa c’è stata solo in relazione al caso dello stupro di una bambina indigena di 12 anni della comunità embera-chamí, nel dipartimento di Risaralda, commesso il 22 giugno da sette militari colombiani tra i 18 e i 22 anni: l’ondata di indignazione è stata tale da costringere Duque a pronunciare una dura condanna, assicurando un castigo adeguato ai responsabili della violenza. Non si tratta, peraltro, di un caso isolato: lo scorso settembre – ma la notizia è di ora – un’altra minore indigena della comunità nukak sarebbe stata violentata da quattro militari nella regione rurale di Charras.
Ben più che le violazioni dei diritti umani, a impensierire Duque sono però gli scandali che hanno travolto la sua amministrazione negli ultimi mesi: dalle operazioni di spionaggio realizzate dall’esercito nei confronti di almeno 130 persone, tra cui giornalisti e difensori dei diritti umani, fino al presunto acquisto di voti a favore dell’attuale presidente, durante la campagna elettorale del 2018, da parte di un narcotrafficante, José Guillermo Hernández, vincolato all’uribismo, l’ala più radicale della destra che fa capo all’ex presidente Álvaro Uribe, il referente politico di Duque.
* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]
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