Territori occupati. Incertezza sui tempi dell’annessione israeliana della Cisgiordania
GERUSALEMME. A poche ore dal 1 luglio indicato da Benyamin Netanyahu come la data di inizio della «estensione della sovranità», l’annessione unilaterale a Israele di larghe porzioni di Cisgiordania, non sono chiare le mosse che farà il premier israeliano. Sotto la pressione di varie parti internazionali annuncerà una «mini-annessione» di tre grandi blocchi di insediamenti coloniali senza la Valle del Giordano oppure, incurante di critiche e condanne – l’ultima è di Michelle Bachelet, alto commissario Onu per i diritti umani -, annetterà subito il 30% della Cisgiordania? Due giorni fa Netanyahu ancora una volta ha parlato della Bibbia come di un trattato di geografia politica. Durante una conferenza virtuale con la Christians United for Israel, una audience di cristiani evangelici sionisti, ha rappresentato il suo progetto, figlio del piano di Donald Trump per il Medio oriente, come una attuazione del racconto biblico e «un passo verso la pace». «Il Piano Trump non cambia la realtà sul terreno – ha affermato – ma semplicemente la riconosce». E ha ribadito che lo staterello palestinese teorizzato dall’Amministrazione Usa sarà sotto il pieno controllo di Israele. Tanti gli applausi da parte degli evangelici stretti alleati di Israele. Dagli Usa però il via libera definitivo all’annessione tarda ad arrivare e le esitazioni del principale alleato di governo, il ministro della difesa Benny Gantz, rallentano le mosse del primo ministro.
La popolazione israeliana mostra scarso interesse verso la questione all’annessione che comunque non contesta. Allo stesso tempo si rafforza l’opposizione interna al progetto. A Petach Tiqwa (Tel Aviv) un liquido rosso sangue, repellente, zampillava ieri in una fontana nella piazza dedicata un anno fa a Trump in riconoscenza per il riconoscimento, sempre unilaterale, di Gerusalemme come capitale di Israele. «L’annessione ci costerà sangue» diceva una scritta lasciata alla base della fontana. Gli autori della protesta hanno spiegato che il piano di Netanyahu, «sarà un disastro sia per la sicurezza sia per l’economia. Quei leader giocano col fuoco a spese dei cittadini».
* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto
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