by redazione | 14 Giugno 2020 10:30
Carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere, venerdì notte due detenuti di origine marocchina del padiglione Danubio, quello per reclusi definiti «problematici», danno fuoco alla cella. Gli agenti penitenziari intervengono, l’incendio viene domato, i due vengono portati in infermeria ma scatta una colluttazione. Sei secondini si fanno refertare. La situazione è incandescente da marzo.
LA PANDEMIA ha esasperato la condizione dei carcerati. Il 5 aprile un caso di positività proprio nella struttura casertana fece esplodere la protesta nel reparto Nilo, i detenuti volevano disinfettanti e mascherine. Il giorno dopo ci fu una perquisizione alle celle con agenti in assetto speciale. Secondo i reclusi fu una spedizione punitiva con pestaggi, rasature di capelli, uomini denudati e insultati. Giovedì la magistratura ha consegnati gli avvisi di garanzia a 57 agenti: tortura, violenza privata e abuso di autorità i reati contestati.
NELLE CELLE venerdì si esultava, mentre gli agenti protestavano contro la procura. La notte il primo atto di ribellione dei due detenuti e poi, ieri mattina, al Danubio la protesta: in circa 40 hanno provato a barricarsi e ad assediare l’infermeria. Altri due secondini si sono fatti refertare. Su 8, 3 sono finiti in ospedale. Al Danubio sono soggetti al regime di sorveglianza particolare del 14 bis, alcuni sono arrivati da Foggia e Rieti dopo le proteste in carcere di marzo. Definiscono il trattamento a cui sono sottoposti «disumano»: senza supporto psicologico e nessuna cura medica, denunciano.
Per affrontare la crisi sono arrivati agenti da fuori mentre un gruppo di circa 50 secondini protestava all’ingresso del carcere: «Ci hanno incriminato per tortura, ci rifiutiamo di entrare in servizio, i torturati siamo noi. Vogliamo squadre antisommossa». L’arrivo del provveditore regionale Antonio Fullone, del vicecapo del Dap Roberto Tartaglia e del procuratore aggiunto, Alessandro Milita, ha riportato la calma. Leo Beneduci, segretario Osapp, ha postato sui social: «Inutile spiegare perché queste condizioni si verifichino e chi paga quello che altri organi determinano. Santa Maria Capua Vetere è nel caos. Al ministro della Giustizia Bonafede, assente, chiediamo risposte urgenti».
IL CAPO DEL DAP, Bernardo Petralia, e Bonafede nel pomeriggio hanno telefonato agli agenti feriti. Le prima misure prese sono state 70 nuovi agenti negli istituti campani e «l’immediato trasferimento fuori regione dei detenuti coinvolti nei disordini». La Lega cavalca le proteste: sui social ha pubblicato le foto degli agenti feriti con lo slogan «Bonafede bocciato».
A SANTA MARIA CAPUA VETERE nessuno vuole scontare la pena: la struttura è recente ma non c’è acqua potabile, la regione ha stanziato i fondi per i lavori ma il comune va a rilento. Nelle celle (200 persone più della capienza dichiarata) bisogna arrangiarsi con una bottiglia di minerale al giorno. A 500 metri c’è l’impianto di tritovagliatura dei rifiuti. «Ci sentiamo in una discarica pure noi» hanno raccontato dei detenuti che sono riusciti a ottenere il trasferimento a Bellizzi, Carinola e Poggioreale. Un migrante, per farsi trasferire, si è tagliato le vene.
AL DANUBIO è finito anche un gruppo che era al Nilo: «Abbiamo protestato, ci hanno picchiati e siamo finiti in isolamento» hanno raccontato. «Questo posto è un inferno» ripetono: in servizio c’è un solo psicologo dell’Asl, da mesi non si vede un educatore o uno psicologo, non ci sono assistenti sociali in un luogo dove ci sono 200 detenuti in più, alcuni con problemi psichici. Al Danubio il 5 maggio un ragazzo di 28 anni algerino è morto per asfissia, si è suicidato con il fornelletto a gas: aveva problemi psicologici eppure era in cella da solo.
«Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere i detenuti vedono solo il contenimento, mentre ci vuole l’accudimento, come accade anche a Poggioreale con tanti progetti – spiega il garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello -. Per la Campania uno dei temi centrali è la mancanza di educatori, psicologi, assistenti sociali e psichiatri. Quando non ci sono queste figure a fare da ponte le criticità vanno tutte su gli agenti. Infine, il 6 di aprile non c’è stata nessuna rivolta, i detenuti dormivano nelle celle quando sono arrivati i gruppi speciali. Lo stato di diritto vale per Caino e per Abele».
* Fonte: Adriana Pollice, il manifesto[1]
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