Pandemia. Così il Brasile di Bolsonaro falsifica i dati sulla mortalità indigena

by redazione | 13 Giugno 2020 9:15

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La catastrofe sanitaria che sta interessando il Brasile non risparmia le popolazioni indigene. Sono più di 500 le aldeias (villaggi) in cui è arrivato il contagio, in particolare nel Nord e Nord-Est del paese. Negli Stati di Amazonas e Cearà, dove la presenza indigena è maggiore, il 42% delle comunità ha registrato almeno un caso di contagio. Secondo l’Apib (Articolazione dei popoli indigeni del Brasile), i dati forniti dal governo sottostimano la dimensione del fenomeno, in particolare per quanto riguarda la mortalità. Il sistema di calcolo utilizzato dagli organismi governativi esclude dal conteggio gli indigeni che vivono fuori dai territori demarcati o ai margini dei centri urbani.

Secondo l’Istituto brasiliano di geografia e statistica (IBGE), sono 752 mila gli indigeni che vivono in Brasile e solo il 64% si trova nei territori demarcati. Il Ministero della salute, attraverso il Sesai, registra 82 morti tra gli indigeni dall’inizio della pandemia, mentre per l’Apib sono 256, considerando tutti gli indigeni che vivono nel paese. L’Apib parla di «vergogna» e «razzismo strutturale», affermando che coloro che vivono in aree di conflitto, in attesa di riconoscimento territoriale, o in aree sub-urbane non perdono la loro identità indigena. Non solo viene svolta una opera di assimilazione culturale nei confronti di queste comunità, ma ora vengono distinte anche nelle valutazioni sanitarie.

Utilizzando il suo metodo, il governo brasiliano afferma che l’indice di letalità tra gli indigeni è del 3,9%, inferiore a quello nazionale che è del 5,4%. I dati dell’Apib mostrano, invece, che questo indice è del 8,8%. Siamo di fronte a una logica manipolatoria dei dati che si colloca all’interno di quella logica negazionista rispetto alla pandemia che contraddistingue il governo Bolsonaro.

Il Comitato nazionale per la vita e la memoria indigena nella sua relazione rileva che in queste ultime due settimane si è registrato un aumento del 70% del numero di morti tra gli indigeni e indica nella politica genocida del governo la causa della diffusione del contagio. La Funai (Fondazione nazionali dell’indio) e l’Ibama (Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali), i due principali organismi per la tutela dei territori e delle comunità indigene, sono stati depotenziati e ricondotti al servizio delle politiche dell’attuale governo. Le attività illegali nei territori e lo smantellamento delle strutture di assistenza sanitaria stanno mettendo in pericolo la vita di intere popolazioni. I presidi sanitari di vaste zone del paese non sono in grado di funzionare dopo la cacciata dei medici cubani da parte di Bolsonaro, segnando la vita degli indigeni e delle comunità rurali del paese.

* Fonte: Francesco Bilotta, il manifesto[1]

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