Movimenti. La mobilitazione contro la guerra alla scuola

by redazione | 25 Giugno 2020 9:18

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Il “Piano Scuola 2020-21” presentato martedì 23 in bozza è una dichiarazione di guerra alla scuola e al diritto costituzionale all’istruzione: il combinato fra quello che c’è, e quello che manca, non lascia spazio a dubbi. Ed è difficile che il giudizio possa cambiare nelle prossime settimane, quando partirà una prevedibile manfrina sugli ipotetici contenuti mancanti. A 70 giorni dalla riapertura dell’anno scolastico, la malaugurata approvazione di questo piano non lascerebbe spazio a opzioni diverse.

Il dato fondamentale è la mancanza di fondi aggiuntivi, al di là dello scarso miliardo e mezzo assegnato: la metà di quanto richiesto e non ottenuto, in condizioni di pre-pandemia, dal ministro Fioravanti (che per questo si dimise); la metà di quanto destinato ad Alitalia, un quarto di quanto riceverà FCA. Non una parola, non un impegno ufficiale, sull’uso dei fondi europei come priorità scolastica: perché la scuola dovrebbe credere che, una volta ripartita in condizioni di emergenza, questi fondi verranno destinati? Non una parola sulle condizioni di sicurezza sanitaria: a fronte della richiesta di presidi sanitari, personale medico abilitato a valutare la differenza fra raffreddore, influenza e sintomo virale, non una parola su misurazione della temperatura, tamponi, test sierologici. Ricordo che gli esami di Stato si stanno svolgendo senza alcuna di queste misure, sulla base di un’autocertificazione e di misure di sicurezza (distanziamento e mascherine) insufficienti in un luogo di lavoro dove ci si muove nello spazio: non per caso il numero di contagiati è in aumento fra i lavoratori.

Non un lavoratore, docente o non, in più – anzi: per un perverso effetto dei dispositivi burocratici, il personale è di fatto diminuito. Come gestire, senza personale aggiuntivo, classi dimezzate dal distanziamento sociale? La risposta è devastante: smembramento e riaccorpamento delle classi, con la conseguente dispersione di socialità, relazioni, affettività, elementi essenziali nell’apprendimento (sarà un caso che nello stesso momento il MIUR spenda soldi per dei bigini formato podcast?). Al loro posto, “gruppi di apprendimento”, “articolazione modulare di gruppi di alunni” di classi o addirittura anni diversi; “aggregazione delle discipline in ambiti e aree” – i peggiori sintagmi del chiacchiericcio scolastichese mobilitati, come l’inchiostro delle seppie, per nascondere lo sminuzzamento della didattica in base a schemi e quadri orari privi di spessore educativo: basta chiamarli “percorsi formativi”.

Mano libera ai dirigenti scolastici per le “forme di flessibilità derivanti dall’Autonomia scolastica”. E soprattutto, per l’istruzione secondaria superiore, la Didattica a Distanza (DaD) in modalità “blended”, mezza classe in presenza, mezza a casa in collegamento, di fatto senza alcuna limitazione. Neanche un cenno ai limiti – evidenti a chi insegna e chi apprende, passando per le famiglie – della DaD; nessun cenno all’asservimento della scuola alle grandi piattaforme telematiche (Google su tutte, ma anche, nel suo “piccolo”, il gruppo GEDI): cessione di dati sensibili, ma anche di esperienze scolastiche, lezioni, unità didattiche alle Corporation private.

E poi, fra le pieghe delle linee guida, senza alcuna giustificazione emergenziale: i “Patti educativi di comunità”, cioè il principio di sussidiarietà, l’ingresso del Terzo Settore nella scuola secondo un processo di aziendalizzazione e precarizzazione già sperimentato nella sanità. E, altro regalo alle lobby cattoliche e familiste, l’”aggiornamento” del Patto Educativo di Corresponsabilità, ricalibrato per concedere di fatto alle famiglie di metter voce su cosa e come si insegna: due cavalli di battaglia storici della Compagnia delle Opere/CL.

Oggi in oltre 60 città italiane, legittimato da un’assemblea virtuale di oltre 10.000 partecipanti, il mondo della scuola, chiamato da Priorità alla Scuola e da altre 48 organizzazioni, scende in piazza PER la riapertura della scuola e CONTRO queste linee guida. Ritirarle è il minimo che possa fare un governo schierato sul lato opposto della barricata rispetto a chi vuole tutelare il diritto costituzionale all’istruzione, con ogni mezzo necessario.

* Fonte: Girolamo De Michele, il manifesto[1]

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