by redazione | 21 Giugno 2020 9:50
È il fallimento di una sanità sottomessa agli interessi privati, concentrata solo sullo sviluppo di terapie sempre più tecnologicamente sofisticate ma destinate ad un pubblico limitato e facoltoso. Un modello non in grado di affrontare un’emergenza di sanità pubblica, che richiede un efficace sistema di sorveglianza sanitaria, un coinvolgimento attivo della popolazione, uno ruolo centrale della medicina preventiva e dei servizi territoriali.
La pandemia Covid ha mostrato il totale fallimento del sistema sanitario lombardo centrato sulla sussidiarietà, inventata da Formigoni, tra pubblico e privato accreditato. Un privato che raccoglie il 40% della spesa sanitaria pubblica ma che può scegliere in quali settori investire: alta chirurgia, cardiologia, malattie croniche; e quali settori ignorare: pronto soccorsi, dipartimento d’emergenza, per non parlare della prevenzione, vista come una pericolosa concorrente che sottrae loro malati produttori di profitti. Una sanità privata accreditata che, in gran parte, ha aspettato quasi due settimane prima di intervenire. Da oltre vent’anni la sanità pubblica lombarda è gestita con la medesima logica della sanità privata eppure gli interessi materiali dei due settori sarebbero esattamente opposti.
Più c’è prevenzione, più si potenziano le strutture territoriali, più diminuiscono i malati, più diminuisce la spesa pubblica e più la collettività risparmia. La prima linea è stata abbandonata a se stessa e travolta. Da dicembre i medici di medicina generale segnalavano un aumento di polmoniti interstiziali, ma il virus ha potuto diffondersi indisturbato; i medici di base sono stati completamente abbandonati a sé stessi senza alcun dispositivo di protezione e senza alcuna formazione; i presidi di prevenzione sono ormai poco più che una sigla, privi di risorse e di personale, compresi quelli della medicina del lavoro, gli ambulatori specialistici sono stati sacrificati in una logica ospedalocentrica; l’epidemiologia è una scienza sconosciuta, l’uso del tampone sembrava più finalizzato a non individuare nuovi casi, piuttosto che ad identificare i contatti delle persone infettate nel tentativo di circoscrivere il percorso del virus.
Superata così facilmente la prima linea il virus si è abbattuto sugli ospedali pubblici che nel ventennio formigoniano avevano subito tagli pesantissimi di posti letto; si sono aggiunte l’assenza di strutture intermedie, la chiusura di numerosi ospedali territoriali e di parecchi reparti ospedalieri, per fare spazio alla proliferazione di nuove cliniche private. Il risultato lo conosciamo: medici obbligati a scegliere chi curare e chi abbandonare al proprio destino, pazienti Covid positivi trasferiti nelle Rsa con le stragi che ne sono seguite, migliaia di malati morti in casa. Nel frattempo non veniva dichiarata la zona rossa nel bergamasco, venivano gettati più di venti milioni per aprire un inutile ospedale in Fiera e migliaia di cittadini sono ancora “prigionieri in casa” in attesa di tamponi e test che non arrivano da settimane e talvolta da mesi.
È il fallimento di una sanità sottomessa agli interessi privati, concentrata solo sullo sviluppo di terapie sempre più tecnologicamente sofisticate ma destinate ad un pubblico limitato e facoltoso. Un modello non in grado di affrontare un’emergenza di sanità pubblica, che richiede un efficace sistema di sorveglianza sanitaria, un coinvolgimento attivo della popolazione, uno ruolo centrale della medicina preventiva e dei servizi territoriali.
Quello che sta accadendo in Lombardia è un segnale d’allarme che va ben oltre i confini regionali e oltre la pandemia da Covid-19 che certamente non sarà l’ultima epidemia della nostra epoca. È necessario lottare per un servizio sanitario nazionale pubblico, gratuito, sostenuto dalla fiscalità generale, capace di intervenire con efficacia non solo nella cura, ma soprattutto prima che gli esseri umani si ammalino. Significa tornare a Giulio Maccacaro, sapendo che si vanno a colpire interessi economici enormi e che lo scontro sarà durissimo. Ma se vogliamo tutelare la salute pubblica non c’è alternativa.
* Fonte: Vittorio Agnoletto, il manifesto[1]
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