Israele. Il premier Netanyahu a processo per corruzione

by redazione | 24 Maggio 2020 9:25

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GERUSALEMME. Nel 2008, a capo dell’opposizione di destra, Benyamin Netanyahu guidò l’offensiva affinché l’allora primo ministro Ehud Olmert lasciasse l’incarico perché sotto inchiesta. Davanti alle telecamere urlava che un leader «immerso fino al collo» in guai giudiziari non può governare un paese. Oggi, 12 anni dopo, Netanyahu entrerà da imputato nell’aula del Tribunale di Gerusalemme per la prima udienza del processo in cui è chiamato a difendersi dalle accuse di corruzione, frode e abuso di potere. Dopo quello di premier più longevo – è al potere da oltre dieci anni – Netanyahu stabilirà un altro record: sarà il primo capo di governo israeliano in carica ad essere processato. Prima di lui sono finiti davanti ai giudici Olmert e il capo dello stato Moshe Katsav ma entrambi diedero le dimissioni in modo da affrontare il processo da semplici cittadini. Invece Re Bibi, come molti chiamano il premier che si comporta come un sovrano, non si è dimesso dopo l’incriminazione subita lo scorso novembre. E punta il dito verso il procuratore generale Avishai Mandelblit, i giudici, la polizia, le opposizioni politiche. Da oltre due anni ripete, di essere vittima di una manovra politico-giudiziaria finalizzata a rimuoverlo dal potere poiché le urne continuano a premiarlo. Meno di tre mesi fa, il 2 marzo, gli elettori israeliani hanno dato di nuovo al suo partito, il Likud, la maggioranza relativa dei voti.

L’analista Yossi Verter scriveva ieri su Haaretz che oggi Netanyahu comincerà a fare i conti con la realtà perché dovrà vedersela con giudici decisi ad applicare la legge e non con i politici che lo circondano pronti a dirgli sempre di sì e a vendersi per una poltrona. Un riferimento evidente al centrista Benny Gantz, il leader del partito Blu Bianco, che appena qualche settimana fa giurava di voler mettere fine al regno di Re Bibi, corrotto e diventato un «pericolo per la democrazia». Poi è arrivato il coronavirus, l’emergenza sanitaria e, più di tutto, la gustosa pietanza dell’annessione unilaterale a Israele di una porzione di Cisgiordania palestinese destinata a scolpire nella storia del paese i nomi dei suoi fautori. E Gantz non intende rinunciare alla sua fetta di storia nazionale. Dopo il clamoroso accordo con Netanyahu siglato a marzo e aver spaccato il suo partito, il leader di Blu Bianco sarà protagonista del piano di annessione da ministro della difesa.

L’alleanza con Gantz e la maggioranza schiacciante che il governo ha alla Knesset (oltre 70 deputati su 120), garantiscono a Netanyahu l’assenza di pressioni politiche significative durante le fasi del processo che durerà almeno un anno. Certo non mancheranno le voci critiche, come quelle dei suoi nemici Yair Lapid e Avigdor Lieberman e le proteste della Lista unita araba. Haaretz e altri media lo criticheranno. Ma saranno poca cosa rispetto al coro già pronto ad alzare la voce contro la magistratura. E forse non solo quello. Alla pubblica accusa rappresentata da Liat Ben Ari è stata assegnata la scorta. Un ministro, David Amsalem, accusa il procuratore Mandelblit di «comportamento criminale» e dall’entourage di Netanyahu si risente parlare di «giustizia politicizzata». Un clima rovente che ha oscurato i reati di cui dovrà rispondere in aula Netanyahu. Non sono cose di poco conto. Il premier nel cosiddetto Caso 1000 è accusato per aver ricevuto regali per un valore di 180 mila euro da imprenditori in cambio di favori. Nel Caso 2000 avrebbe preso accordi con Arnon Mozes, editore del quotidiano Yediot Ahronot, per avere una copertura informativa benevola. Il Caso 4000, quello più grave, riguarda i rapporti intercorsi tra Netanyahu e l’imprenditore Shaul Elovitch, proprietario di Walla il sito di informazione più letto in Israele. In cambio di leggi favorevoli agli interessi di Elovitch nel settore delle telecomunicazioni, Netanyahu si sarebbe assicurato una campagna giornalista positiva nei confronti della sua famiglia.

* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto[1]

 

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