Distanza di insicurezza. L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale

Distanza di insicurezza. L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale

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Le strade della capitale hanno ripreso le loro sembianze abituali, il traffico è diminuito mentre sono aumentati i posti di blocco delle forze dell’ordine. Ma nelle arterie principali, che dal centro città fuggono verso il raccordo anulare, sono scomparse le lavoratrici del sesso. Il distanziamento sociale, e la paura del contagio, comprimono i rapporti fisici nel territorio circoscritto della coppia. Questo nuovo corso ha un impatto devastante sulla sopravvivenza di chi svolge il lavoro sessuale.

E se per chi è in possesso di documenti esiste la possibilità di accedere almeno ai buoni spesa devoluti dai comuni, chi è senza residenza e permesso di soggiorno, si trova da qualche settimana nel vicolo cieco della povertà assoluta. «Mi sono tagliata tutti i capelli» dice Claudia, donna trans argentina di 52 anni, che incontriamo sotto casa sua, una stanza in affitto al secondo piano di un residence sul litorale laziale, al piano terra c’è una sala giochi chiusa. «Non so perché l’ho fatto. Dopo una settimana di lockdown ero disperata e ho tagliato tutto. Mi sono pentita ma è stato comunque meglio che tagliarmi una mano. Ho smesso di lavorare da due mesi, e non so come pagare l’affitto, le bollette, il cibo ».

LA PROSTITUZIONE non è riconosciuta come attività lavorativa in Italia, ma secondo le stime del Codacons per il 2018, il mercato del sesso costituisce un indotto di 3,9 miliardi di euro l’anno, e coinvolge oltre 90.000 lavoratori/lavoratrici, di cui più della metà sono di origine straniera. Il mancato riconoscimento legale avvolge nell’ombra il settore, che rimane appannaggio della criminalità organizzata o, quando svolto in autonomia, relegato all’invisibilità. Questa situazione rende complicato per chi lavora avere accesso a documenti, contratti di locazione o misure di welfare.

Inoltre pesa lo stigma culturale e la marginalizzazione sociale di queste figure lavorative. La pandemia ha reso evidenti alcune delle contraddizioni che il tema del lavoro sessuale porta con sé.

«LA LEGGE MERLIN, che all’epoca ebbe il merito di chiudere le case chiuse a controllo statale, luoghi dove le donne venivano sfruttate e subivano una violenza legalizzata, lascia però indefinita la regolamentazione del lavoro sessuale» a parlare è Ombretta, nome di fantasia per una sex worker organizzata nel collettivo Ombre Rosse. «Formalmente non è illegale scambiare servizi sessuali per denaro, ma costituiscono reato tutte le attività collegate a questo. Se divido la casa con una collega ad esempio, rischio la denuncia per favoreggiamento, cosi come rischia di essere incriminato chi mi affitta la casa. Questo quadro legislativo di fatto ci costringe a muoverci sempre nell’economia informale, con tutti i rischi annessi. Per questo il nostro obiettivo a livello mondiale è la decriminalizzazione. La possibilità di lavorare senza rischi».

TRA LE DIFFICOLTÀ per chi lavora sulla strada c’è anche l’introduzione delle ordinanze municipali a salvaguardia del «decoro urbano», con il Decreto legge n. 14 del 2017. Il provvedimento ha ampliato i poteri delle amministrazioni locali nel multare, emettere fogli di via o addirittura porre in stato di fermo le lavoratrici del sesso, qualora la loro attività sia ritenuta contraria al decoro. L’ampiezza semantica del termine lascia spazio alla discrezionalità, aumentando l’incertezza e la ricattabilità di chi lavora.

«SONO ARRIVATA IN ITALIA nel 2003 sognando una vita normale, ma non sono riuscita a evitare la strada sulla quale sono stata per più di 30 anni. Adesso mi sento vecchia, la malattia è arrivata (ndr Hiv) ma sto bene e sono in cura allo Spallanzani. Quando hai fame e arriva il cliente che ti offre il doppio per non usare il preservativo non riesci a pensare a te e alla tua salute, pensi solo alle cose che potresti fare con quei soldi.

È difficile essere assunta per una donna trans e senza documenti. Mi piacerebbe fare i lavori per cui ho studiato. Sono sarta e parrucchiera. Ogni tanto chi mi conosce in zona mi chiede di fargli un orlo, o sistemare una cerniera. In questi giorni sto facendo anche mascherine, ma quelle le regalo» racconta ancora Claudia di cui si intravedono gli occhi verde scuro tra il cappello e la mascherina.

Una delle iniziative pensate per sostenere le sex workers è la campagna e raccolta fondi «Nessuna da sola» promossa dall’onlus Comitato per i diritti civili delle prostitute e dal collettivo Ombre Rosse, in collaborazione con tante altre realtà territoriali, associazioni, e unità di strada.

I SOLDI RACCOLTI saranno destinati soprattutto alle lavoratrici che non hanno documenti in regola. Un tentativo di sopperire dal basso all’assenza totale delle strutture pubbliche nel rispondere alle esigenze di sopravvivenza di queste persone. Anche a livello europeo è stato lanciato l’allarme la sofferenza economica delle sex workers durante la pandemia, e la principale rete europea, l’Icrse, ha lanciato un appello a tutti i governi nazionali affinché provvedano dei mezzi di sostentamento.

«I CLIENTI SONO SPARITI» dice Gina, donna cis°, ha 28 anni e viene dalla Romania, «non posso muovermi per cercare lavoro perché ai controlli chiedono sempre la residenza. Sarebbe meglio per noi poter lavorare legalmente, pagare le tasse, avere una copertura sanitaria, e la possibilità di fare i documenti. Alcune sono sfruttate ma io no, lavoro per me stessa. Ma adesso sono bloccata. Vorrei chiedere al governo il diritto ad avere un tetto sopra la testa anche in questo momento. Un aiuto per l’affitto oppure un posto dove stare gratis».

Naomi e Silvana invece raccontano di come questa situazione le abbia portate ad aiutarsi a vicenda: «Io e lei e altre ragazze abitiamo vicine ma prima non ci potevamo vedere» dice ridendo Naomi e aggiunge «adesso siamo più unite. Mangiamo insieme, ci diamo una mano. Ma ci vorrebbe di più. Ci vorrebbe un’associazione forte come in Francia, dove le donne trans fanno lavori di tutti i tipi. Qui è difficile a livello culturale. Vengono da noi quando siamo sulla strada di notte, ma alla luce del sole non veniamo riconosciute».

Dice ancora Claudia, 53 anni di San Pedro de Jujuy, Argentina. «Non cerco più di essere migliore delle altre, ormai ho una certa età e ho capito che nessuna è meglio delle altre. Adesso l’unica cosa che mi resta da fare è vivere, e voglio farlo degnamente».

° abbreviazione di cis gender (o cis-sessuale), definizione che indica la concordanza tra l’attribuzione del sesso di nascita e identità di genere.

* Fonte: Shendi Veli,  il manifesto



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