by Massimo Congiu | 12 Maggio 2020 7:00
È appena uscita la Relazione Annuale del 2019 sullo stato degli istituti di pena campani. Ne emerge un quadro per lo meno critico che mostra le numerose contraddizioni caratterizzanti il regime carcerario odierno fatto di sovraffollamento, disservizi e afflitto da quella che è forse la peggior forma di violenza: l’indifferenza politica e generale che, insieme alle altre problematiche, prima menzionate, colpisce il sistema detentivo di tutto il paese con risvolti inaccettabili dal punto di vista umano e sociale. Per parlarne ritroviamo Samuele Ciambriello, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Campania, curatore della Relazione redatta dall’Osservatorio Regionale delle Carceri presso l’ufficio del garante, nonché strumento di sostegno e consulenza previsto dalla legge istitutiva del Garante del 2006.
Signor Garante, cosa presenta il Rapporto del 2019 rispetto a quello dell’anno precedente?
I dati sul sovraffollamento mostrano che il numero totale dei detenuti presenti nel 2019 fa registrare un 19% in più rispetto alla capienza regolamentare, con un aumento rispetto all’anno precedente. I disagi continuano, considerando che il 37% delle celle o delle stanze di pernottamento non ha servizi igienici: niente docce né bidet. L’altro problema irrisolto è quello della carenza del personale in diversi ambiti del mondo carcerario. In Campania abbiamo in tutto 3.902 agenti di polizia penitenziaria, ma non di rado accade che un numero compreso fra 450 e 800 agenti non vada al lavoro perché in malattia o per altre ragioni. Così non è raro che in interi reparti un solo agente debba occuparsi di 150-200 detenuti. Abbiamo mediamente 80-100 ristretti per piano, molti di loro sentono di vivere in una situazione di abbandono: molti stranieri non ricevono telefonate, in generale parecchi detenuti non possono svolgere attività di formazione perché non ne vengono organizzate. C’è qualche volontario, sennò sarebbe il deserto. È chiaro che non si può andare avanti così.
Qual è, invece, la situazione dell’assistenza sanitaria negli istituti di pena?
Nelle carceri campane abbiamo in media 72 visite mediche al giorno, ma sappiamo anche che ci sono 159 detenuti con disabilità che spesso non possono contare su sedie a rotelle o su altre attrezzature a loro necessarie. Il diritto alla salute deve essere garantito a tutti, anche a Caino. Ci sono consiglieri, deputati ed ex ministri che farebbero bene a riflettere prima di fare certe affermazioni sulla realtà carceraria. Nel 2019 circa 6.200 detenuti sono usciti per sottoporsi a visite ospedaliere, mentre altre 1.512 visite in un anno non hanno potuto aver luogo per mancanza di nuclei di traduzione o di veicoli. La proposta del Garante è che le questioni di carattere sanitario siano prioritarie rispetto a quelle legate all’ordine e alla sicurezza e che in questo abbiano voce in capitolo le direzioni sanitarie.
Un altro aspetto problematico è quello del modo in cui la struttura carceraria si relaziona con i detenuti stranieri da lei prima menzionati.
Ce ne sono 1.001 in Campania. 83 di loro non sanno una parola di italiano. A gennaio e febbraio scorsi gli istituti di pena di Poggioreale, Secondigliano e Salerno sono stati teatro di incontri settimanali poi sospesi. Possiamo immaginare le difficoltà specifiche dei detenuti stranieri che non parlano la nostra lingua, tanto più che non ci sono abbastanza mediatori culturali nel tessuto organizzativo carcerario. Nel 2019 sono stati espulsi 18 detenuti stranieri dalla Campania: 6 da Napoli, 6 da Caserta, 2 da Avellino, 2 da Salerno, 2 da Benevento. Insomma, la situazione è estremamente complicata anche da questo punto di vista.
Veniamo al tema delle violenze all’interno dei penitenziari.
Ci sono state denunce per alcuni casi di abusi e maltrattamenti. Questi episodi sono stati chiaramente segnalati alle autorità competenti. Per il resto devo dire che nel 2019 ci sono state meno denunce che nell’anno precedente in questo ambito. Mi sembra che ci sia un maggior senso di responsabilità in termini di relazioni fra parti che svolgono ruoli diversi: ci sono agenti che si distinguono per la capacità di comprendere le difficoltà dei detenuti e ristretti che segnalano situazioni di tensione nelle celle. Nel 2018 in Campania abbiamo avuto 10 suicidi, 6 nel 2019, ma l’anno scorso sono aumentati i tentativi di suicidio a volte sventati dall’intervento degli agenti che in quei casi hanno salvato delle persone. Gli atti di autolesionismo hanno superato del 32% la casistica del 2018 e rispetto ad allora abbiamo avuto un 55% in più sul piano degli scioperi della fame. In questi modi il detenuto cerca di attirare su di sé l’attenzione della magistratura, delle autorità sanitarie, della direzione del carcere.
Occorre anche sottolineare il fatto che il sistema detentivo non è solo quello dei penitenziari, delle celle…
È vero. Esiste un’area penale esterna che nel 2019 in Campania ha fatto registrare una popolazione di 9.020 persone; 3.000 di loro sono agli arresti domiciliari. Ma anche in questo caso ci sono pochi assistenti sociali, nessun educatore o mediatore culturale o altre figure sociali di sostegno. Tutto considerato ritengo siano necessarie misure alternative al carcere; secondo me è necessario un altro percorso se vogliamo veramente recuperare delle persone. Un detenuto sconta la sua pena, viene scarcerato ma non è detto che una volta fuori sia veramente libero. Spesso è prigioniero dei pregiudizi ed è come se fosse marchiato a vita. Io faccio un appello agli assessori per le politiche sociali, a loro chiedo dei piani concreti per queste persone, per evitare il loro ritorno in carcere. La cosa, tra l’altro, comporterebbe un risparmio statale di circa 350 euro al giorno. Il carcere, a mio avviso, non è una soluzione in termini di sicurezza, è da abolire perché è disumano e incoerente con la Costituzione. Ripeto: non può essere una soluzione ai problemi di sicurezza anche perché è esso stesso un problema. Quanti detenuti sono condannati a un anno di prigione? Non possiamo far svolgere loro lavori di pubblica utilità? In Campania un terzo dei detenuti vive in regime di carcerazione preventiva. È un abuso. Non si possono togliere insieme libertà e dignità alle persone. Aggiungo che dal 2001 al 2018, in Italia, 27.000 persone sono state incarcerate ingiustamente. Questo non è tollerabile, anche se la detenzione durasse solo un secondo. Quanto vale la dignità di una persona? In genere le vittime di queste ingiustizie non fanno ricorso perché preferiscono dimenticare e non avere più a che fare con lo Stato.
Da quanto detto finora consegue che sia necessario, prima ancora che lecito, interrogarsi sul ruolo del carcere nelle nostre società.
Io parto dal presupposto che in molti paesi europei si parla di pene mentre in Italia questo termine si usa al singolare, come se non esistesse un’alternativa al carcere. Torno a sottolineare il problema della dignità umana e aggiungo che i carcerati non sono una specie a sé: sono un miscuglio di contraddizioni, debolezze, esattamente come le persone libere. La situazione negli istituti di pena è sempre più insostenibile; le rivolte carcerarie scoppiate quest’anno sono state attribuite al Covid-19, ma dietro di esse c’è piuttosto il vuoto lasciato da una politica cinica e pavida che non fa chiarezza sulla questione e non prende iniziative a favore di soluzioni alternative alla prigione. Vedremo che il carcere sarà l’unica cartina di tornasole della nostra civiltà. Non si possono lasciare indietro le persone, reclusi non può significare esclusi. Il carcere è un luogo distante dalla società che può emanciparsi solo se riesce ad abbattere il muro dell’indifferenza. Il carcere, soprattutto questo regime carcerario, non è altro che il frutto di un appiattimento su misere posizioni giustizialiste ed è una polveriera dalla miccia corta.
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