by Boris | 1 Aprile 2020 12:19
Oggi, 1 aprile, è il compleanno di Yilmaz Guney, grande regista kurdo, scomparso prematuramente nel 1984, a Parigi, dove si trovava in esilio. Nel 1982 aveva vinto il Festival di Cannes con quel capolavoro che è ‘Yol’.
Per ricordare Yilmaz Guney riproponiamo un’intervista a Ahmet Soner, regista di Istanbul e autore di “Adana-Paris”, omaggio all’amico Guney, alla sua arte e al suo impegno politico.
Il documentario, girato in Turchia, è stato proiettato al primo festival londinese del cinema kurdo.
Ahmet Soner è un uomo affascinante. Capelli e barba grigi, alto, magro, gli occhi che parlano ancora prima che pronunci la storia che sta per raccontare. Una storia di amicizia e di solidarietà in Turchia prima e dopo i golpe militari del ’71 e dell’80. Una storia di amore per il cinema, di passioni, di carcere, di torture e di film che hanno cambiato il cinema turco per sempre, aprendo la strada al cinema kurdo. L’avventura cinematografica di Ahmet Soner è legata a quella del più grande regista kurdo, Yilmaz Guney, scomparso il 9 settembre 1984. Ospite del festival londinese, Ahmet Soner ha regalato le emozioni del suo documentario, Adana-Paris, omaggio alla sua amicizia con Guney. Si potrebbe stare ad ascoltarlo per ore quando racconta di come Guney, in carcere, scriveva sceneggiature che poi lo stesso Soner e gli altri amici traducevano in immagini.
Come hai cominciato a fare cinema? E come hai conosciuto Yilmaz Guney?
Sono nato e cresciuto ad Istanbul, e come assistente di Atif Yilmaz, con cui ho girato cinque film, ho incontrato Yilmaz Guney, che non aveva ancora cominciato a dirigere, e recitava. Era un attore molto apprezzato. Siamo diventati subito amici. Yilmaz era una persona speciale: affabile, generoso. Era popolarissimo. Quando entravamo in un caffè prima di sedersi al tavolo doveva stringere la mano e scambiare due parole con l’intero locale. E’ stato un amico prezioso.
Erano gli anni del dopo-golpe bianco del 1971 e prima di quello del 1980…
Erano anni critici. Il 12 marzo del 1971 c’era stato questo colpo di stato soft e noi abbiamo cominciato a girare in maggio. Ogni mattina venivamo fermati e perquisiti dai militari che quando riconoscevano Yilmaz mollavano un po’ la presa. Anche loro amavano i suoi personaggi. Allo stesso tempo però l’establishment militare ci teneva sotto ferreo controllo. In quei giorni, rivoluzionari come Deniz Gezmis e Mahir Cayan stavano costruendo nuove organizzazioni di sinistra e chiedevano aiuto, soprattutto economico, a Yilmaz Guney, che li aiutava, perché per lui era un dovere, il suo dovere di comunista. Se aveva 10 milioni al mattino quando usciva di casa puoi star sicura che alla sera tornava senza una lira. Non comprava nulla per se stesso, non si ricordava nemmeno se aveva mangiato. Ma certamente aveva dato soldi a chiunque glieli avesse chiesti. Naturalmente questo suo sostegno alle organizzazioni di sinistra lo aveva reso un bersaglio per i militari e lo stato. A maggio durante le riprese che stavamo facendo, la polizia era costantemente nei pressi del set. Ben presto Yilmaz venne arrestato e tenuto sotto custodia cautelare per una settimana. La polizia ordinò a Yilmaz di lasciare Istanbul, una sorta di “esilio volontario” che sarebbe dovuto durare tre mesi. Ma Yilmaz, un uomo estremamente coraggioso, in quegli stessi giorni nascose a casa sua Mahir Cayan e Huseyin Cevahir. Li fece stare in soffitta. Per tre mesi poi ce ne andammo da Istanbul ma una volta rientrati la vita politica di Yilmaz riprese come prima. A volte mi chiedeva di andare a prendere o ad accompagnare questo o quel compagno da qualche parte. I nostri rivoluzionari continuarono a chiedere soldi, armi, parrucche…
Questo suo impegno politico inevitabilmente si concluse con altri arresti.
Sì. Il suo impegno lo portò dritto a Selimiye (il carcere per i detenuti politici, ndr.). Qualcuno fece il suo nome e Yilmaz venne nuovamente arrestato. Fu la fine del nostro lavoro comune. Rimase in carcere fino al 1974: fu rilasciato grazie all’amnistia generale. Anch’io nel frattempo ero finito in carcere. Ma uscii dopo un mese. Il giorno del mio rilascio andai a casa e dalla radio appresi che Mahir Cayan e 12 compagni erano stati uccisi a Kizildere. Dopo il rilascio di Yilmaz riprendemmo a lavorare. In prigione aveva pensato e scritto molto. Avevamo cominciato a girare Endise (Ansia) da due giorni quando accadde l’incidente di Yumurtalik (durante una rissa, Guney sparò a un giudice in un villaggio nei pressi di Adana, in Kurdistan, ndr). Yilmaz fu arrestato e condannato a 19 anni di carcere. In prigione (fu trasferito a Izmit, nei pressi di Istanbul) l’unica cosa che poteva fare era scrivere lettere e ricevere qualche visita. In seguito lo trasferirono nel carcere di Imrali (l’isola dove è rinchiuso il presidente del Pkk, Abdullah Ocalan, ndr). A Imrali scrisse la sceneggiatura di Suru (Il gregge) e Dusman (Il nemico).
Guney in carcere scriveva e tu fuori giravi…
Ho girato Bir gun mutlaka (Un giorno sicuramente) scritto da Yilmaz. La parte documentaria del film l’ho ripresa durante i funerali di Harun Karadeniz (leader studentesco, ndr). Allora Yilmaz era nel carcere di Selimiye e quando il corteo funebre passò sotto le finestre la folla si mise a urlare “Yilmaz libero”. E’ stato un momento emozionante ed è tutto filmato.
In carcere è nata anche la sceneggiatura di “Yol” (Il viaggio).
All’inizio a dirigere il film doveva essere Erden Kral ma a Yilmaz non piacquero le immagini e scaricò Kral preferendogli Serif Goren che era stato a sua volta appena rilasciato dal carcere. Serif mi chiamò e cominciammo subito le riprese. Allora Yilmaz era stato trasferito nel carcere di Isparta ed era difficile andarlo a trovare. Andammo in Kurdistan a girare, a Bingol (lì c’era la neve) e poi a Diyarbakir, Urfa e nel sud. Abbiamo girato per tre mesi e mezzo quando normalmente le riprese duravano al massimo cinque settimane. Il film era finito e Yilmaz decise di mandarlo all’estero per la postproduzione.
Quando ha pensato di evadere?
Ci aveva sempre detto che non sarebbe fuggito perché era innocente e non aveva nulla da nascondere. In carcere era diventato una specie di protettore di tutti i detenuti senza famigliari o amici. Pensava che la sua condanna sarebbe stata accorciata. Ma non aveva fatto i conti con la “giustizia” turca. Poiché scriveva per una rivista politica, Guney, la corte lo condannò a sette anni e mezzo di galera per ogni articolo che aveva pubblicato. In totale ottenne una condanna a 110 anni. A quel punto si rese conto che non sarebbe mai più uscito dal carcere. Fu allora che decise di evadere. Aveva messo a punto un ottimo piano. Fuggì nel 1981 e si rifugiò in Francia con sua moglie Fatos e la loro figlia. Fu in Francia che gli diagnosticarono il tumore allo stomaco. In tutti gli anni che aveva trascorso in prigione non lo avevano mai fatto visitare in ospedale. La chemioterapia non servì a nulla e il 9 settembre 1984 ricevetti la telefonata più triste della mia vita: Fatos mi disse che Yilmaz era morto
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