Il carcere ha bisogno di luce. Intervista al Garante Pietro Ioia

by Massimo Congiu | 22 Aprile 2020 18:49

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L’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19 ha contribuito a mettere in luce le falle del sistema carcerario italiano. In diversi istituti di pena il disagio è cresciuto in questi ultimi mesi, complice la paura del contagio, ed è sfociato in momenti di tensione raccontati da vari organi di stampa. Si inserisce pienamente in questo contesto la vicenda del carcere di Santa Maria Capua Vetere che è al centro di un’indagine giudiziaria su presunte violenze commesse da agenti della polizia penitenziaria ai danni dei detenuti e denunciate dai Garanti per i diritti dei reclusi. Su questo argomento e con l’intento di fare brevemente un punto sulla situazione del sistema carcerario dell’area napoletana, abbiamo sentito Pietro Ioia, Garante del Comune di Napoli.

 

Che interpretazione dai alla vicenda di Santa Maria Capua Vetere?

Quando mi sono arrivate le fotografie, gli audio e le segnalazioni di alcuni familiari sono intervenuto contattando subito il collega Samuele Ciambriello (Garante dei detenuti della Campania, N.d.R.). Ci sono state tante polemiche da allora e diverse versioni dell’accaduto. Occorre che la magistratura faccia luce e, se emergeranno reati, punire chi li ha commessi.

 

Su questo hai avuto uno scambio polemico con rappresentanti della polizia penitenziaria…

Sono stato attaccato da alcune sigle sindacali della polizia penitenziaria, come spesso è accaduto, sia prima che dopo la mia nomina a Garante dei diritti dei detenuti. Gli scambi sono giusti, sono quello che cerco, quello che può aiutarci a tutelare i diritti dei reclusi. Gli attacchi no, soprattutto se si tratta di attacchi alla mia persona e non al mio operato. Non sarebbe più costruttivo uno scambio equilibrato sul lavoro che c’è da fare possibilmente insieme?

 

Che ruolo ha oggi a tuo parere la polizia penitenziaria e che ruolo dovrebbe avere?

La polizia penitenziaria ha sempre avuto un ruolo di vigilanza e di controllo, questo però non deve sfociare mai in violenza, come purtroppo avviene in alcune occasioni. Ho conosciuto poliziotti penitenziari che mi hanno appoggiato, perché hanno capito il tipo di lavoro e contributo che volevo dare, perché affine al loro; mi sono trovato poi, com’è risaputo, in forte contrasto con altri di loro, anche legalmente, per via del mio passato da attivista e per aver denunciato le violenze subite in carcere. La verità è che in tutti i gruppi ci sono grandi lavoratori e allo stesso tempo persone che invece interpretano male il proprio ruolo.

 

Quanto si sa di quello che succede in carcere? Che ruolo ha la stampa?

Si sa pochissimo perché se ne parla davvero poco. E quando se ne parla si dice solo il peggio. Non si parla mai di tutto quello che viene fatto dai detenuti che provano a riparare il danno che hanno compiuto in passato nei confronti della società. Né dei diritti calpestati. Non si parla nemmeno delle famiglie, dei bambini piccoli lontani dal genitore recluso, che vivono anche loro una condanna e che dovrebbero per questo essere aiutati. Ecco, la stampa dovrebbe interessarsi anche di questo, per quanto la cosa sia difficile, bisogna fare luce su ciò che avviene in carcere.

 

Su quale collaborazione puoi contare da Garante? Chi, in particolare, collabora con te?

A livello istituzionale sono supportato soprattutto dal Sindaco Luigi De Magistris e dall’Assessore al Welfare Monica Bonanno, con la quale anche in questi giorni sono andato a Poggioreale per la consegna di varie mascherine. In settimana ne arriveranno altre e andrò con il Sindaco a consegnarle. Il mio staff invece è composto da due valide collaboratrici, che condividono le mie stesse idee e lo stesso impegno a tutela dei diritti dei detenuti, le dottoresse Sara Romito e Sarah Meraviglia.

 

Un breve bilancio della tua attività di Garante iniziata lo scorso dicembre.

Appena nominato ho collaborato con la Dottoressa Bonanno e con la Direttrice Russo di Secondigliano per attivare il lavoro di pubblica utilità di alcuni detenuti all’esterno del carcere.

La mia attività purtroppo poi coincide con questa terribile pandemia. All’inizio dell’anno sono stato ricoverato in ospedale per diverse settimane e poi è arrivato il virus nelle nostre vite. Da allora ho avuto diversi incontri nelle case circondariali di Poggioreale e Secondigliano, sia con i direttori che con delegazioni di detenuti, soprattutto nei giorni delle rivolte, contenutissime forse proprio grazie al nostro intervento congiunto. Anche gli incontri con il provveditorato e con la magistratura di sorveglianza sono stati importantissimi per contenere l’emergenza. Stiamo inoltre consegnando centinaia di mascherine ai detenuti, grazie all’aiuto di diverse associazioni e dei Radicali. Da oggi stiamo progettando un pacco alimentare per i ristretti che non hanno niente, il pacco del detenuto ignoto. Quando finirà questa fase di emergenza ci dovremo occupare dell’emergenza di tutti i giorni, quella del carcere nel suo quotidiano e dei diritti mal tutelati dei detenuti.

C’è tantissimo da fare e dovremmo farlo tutti insieme.

 

Il carcere rischia davvero di essere un luogo di violenza più che di recupero?

Il carcere è punitivo più che risocializzante. Si dovrebbe dare spazio alle misure alternative, alla giustizia riparativa e di comunità, alla conservazione degli affetti delle persone detenute, alla loro formazione e al lavoro.

 

Com’è vista la situazione Coronavirus in carcere?

Dai detenuti è vista com’è, cioè come una situazione drammatica, sia all’interno che all’esterno degli istituti penitenziari. Un gruppo di persone recluse a Poggioreale ha donato più di 1.600 euro per l’Ospedale Cotugno di Napoli, per far sentire il loro supporto a medici ed infermieri. Le famiglie sono preoccupatissime, vorrebbero essere certe che i loro cari sono al sicuro dal virus. Ma come può essere possibile se spesso ci sono 12, 14 detenuti in una cella? Ci sarebbe bisogno di misure alternative per chi ha pochi anni da scontare e soprattutto per chi è malato e anziano.

 

 

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