In poche ore sono arrivate oltre 10mila firme per chiedere la nomina di un commissario per la sanità regionale che cambi la strategia lombarda per arginare la diffusione del coronavirus. In questi giorni nelle conversazioni telefoniche di qualsiasi lombardo c’è una domanda ricorrente: perché se siamo chiusi in casa da 40 giorni i nuovi contagi giornalieri continuano ad essere così alti? Chi sono i nuovi contagiati? Quanti anni hanno? Dove si sono infettati? L’assessore alla sanità Giulio Gallera ha infelicemente puntato il dito contro i bambini che giocano nei cortili e le troppe persone ancora in giro, ma la realtà raccontata dai dati sui controlli in strada è diversa.
SULLE 10 MILA PERSONE fermate mediamente ogni giorno a Milano il 95% è in regola con i permessi. Se l’assessore Gallera è in possesso di dati qualitativi sui nuovi contagiati dovrebbe condividerli con i cittadini che si stanno chiedendo, isolati nelle proprie case, cosa stiano facendo di sbagliato al quarantesimo giorno lockdown.
«La gestione della sanità lombarda è stata la miglior alleata del Covid-19» sostiene Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, attivista, tra i promotori della petizione online insieme a Costituzione Beni Comuni, Medicina Democratica, Milano In Comune, Possibile, Rifondazione, Sinistra Italiana, diverse associazioni, e sostenuta anche da esponenti del Pd come l’eurodeputato Pierfrancesco Majorino. «Sono totalmente d’accordo con l’idea di mettere un commissario straordinario in Regione Lombardia sul tema della Sanità» ha scritto Majorino su Facebook. «Fontana e Gallera non ce la fanno».
L’ANALISI che molti fanno è che la sanità lombarda non è stata in grado di arginare la diffusione del virus perché da anni ha introiettato al suo interno l’impostazione della sanità privata e perché in questo mese e mezzo sono stati commessi diversi errori. «La sanità privata è disinteressata alla prevenzione e si concentra sulla cura, quella pubblica cerca di prevenire anche per alleggerire i costi pubblici» spiega Agnoletto. «In Lombardia non c’è più una cultura della prevenzione e della sanità pubblica».
Nella crisi del coronavirus la prima linea rappresentata dai medici di base è stata lasciata sola, senza indicazioni precise e soprattutto senza sistemi di protezione. «Ricordo il 4 marzo quando la Regione ci ha chiamati per la prima volta per consegnarci mascherine e guanti» racconta un medico di famiglia milanese. «Erano già in ritardo perché erano già passati 15 giorni dalla scoperta del primo caso a Codogno, la beffa è stata che le mascherine erano insufficienti per tutti».
Travolti i medici di base, il virus è finito in ospedale e il mondo ospedaliero ha dovuto lavorare senza l’argine della medicina territoriale che avrebbe invece potuto alleggerire il carico sugli ospedali. «Il virus non è stato inseguito, non c’è stata una strategia sui tamponi, non è stata fatta sorveglianza sanitaria» dice ancora Vittorio Agnoletto.
OGGI A MILANO sono in tanti ad avere uno o più sintomatici in casa. Persone a cui non viene fatto il tampone e che a breve potrebbero essere richiamate a lavorare. Metà delle fabbriche lombarde, come raccontato su queste pagine, sta già lavorando. Presto potrebbero arrivare gli altri. Per convivere col virus si dovrà fare attenzione alle persone in quarantena.
A Milano l’hotel Michelangelo messo a disposizione dal Comune viene utilizzato a metà dalla Regione Lombardia. «Attualmente ospitiamo 102 persone su quasi 300 posti» hanno spiegato gli assessori milanesi Maran e Tajani. «Ne ospitiamo 102 perché non ce ne mandano di più e viene da chiedersi se davvero non esista una domanda superiore».
Non solo le petizioni online, ieri 104 sindaci dell’area milanese, tra cui quello di Milano Giuseppe Sala, hanno mandato una lettera critica ai vertici della sanità lombarda chiedendo controlli per chi sta completando la quarantena e dovrà rientrare al lavoro e più assistenza domiciliare tramite le Unità mediche speciali di Continuità assistenziale.
* Fonte: Roberto Maggioni, il manifesto[1]