by Carlo Lania * | 27 Marzo 2020 10:04
Alla fine tutto si è risolto come al solito, offrendo soldi e riconoscimenti politici al Paese che accetta di farsi carico dei migranti. Dimostrando di essere sempre meno capace di esprimere solidarietà, dopo settimane di trattative l’Unione europea è riuscita a trovare un accordo sulla nuova missione europea «Irini» che sostituisce la vecchia operazione Sophia destinata ad essere archiviata dal prossimo 31 marzo.
Nata dopo la conferenza di Berlino con il mandato esplicito di far rispettare l’embargo Onu di armi alla Libia, fino a ieri la missione era rimasta bloccata su un punto in teoria secondario, visto che non rappresenta il suo core business, ma in realtà ritenuto decisivo dagli Stati: dove sbarcare i migranti che verranno salvati nel Mediterraneo, intervento reso obbligatorio dal diritto internazionale. La soluzione è arrivata ieri al termine di una riunione del Coreper, il Comitato dei rappresentati permanenti, durante la quale è stata indicata la Grecia come porto di sbarco per i naufraghi. Soluzione accettata da Atene in cambio di non meglio precisate compensazioni economiche e politiche, con il rischio di rendere ancora più invivibile la condizione dei numerosi migranti che già si trovano nel Paese. I dettagli, e l’eventuale via libera definitivo alla missione dovrebbe arrivare dagli Stati entro oggi con la procedura del silenzio-assenso.
A rendere più complicati i negoziati fino a bloccarli, è stata la posizione assunta dall’Italia decisa a non essere più considerata, come avvenuto in passato con Sophia, l’unico Paese nel quale far arrivare i migranti. Una posizione assunta fin dall’inizio dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e motivata in seguito anche con l’insorgere dell’emergenza coronavirus. Francia, Spagna, Germania e Finlandia affiancheranno l’Italia nella missione che dovrà far rispettare l’embargo deciso dalle Nazioni unite e potrà disporre nuovamente delle navi insieme ad aerei, elicotteri, droni e satelliti. Previste anche missioni a terra, ma solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione da parte delle autorità di Tripoli e comunque dopo una nuova risoluzione dell’Onu. Per quanto i migranti, è previsto un meccanismo di distribuzione su base volontaria tra i paesi che partecipano alla missione.
Nonostante l’obiettivo dichiarato di Irini (che in greco significa «pace») sia quello di contribuire alla pacificazione della Libia, specie dopo il fallito cessate il fuoco decretato dal presidente turco Erdogan e quello russo Putin il 9 gennaio scorso, è proprio sui migranti che i negoziati si sono impantanati a lungo. Al punto che prima è stato deciso di spostare l’area di intervento della missione più a Est rispetto a dove operava Sophia, in modo che le navi si trovino lontane dalle rotte abitualmente percorse dai barconi carichi di migranti (come richiesto da alcuni Paesi tra i quali Austria e Ungheria) e lungo le quali opera la cosiddetta Guardia costiera libica. Infine, secondo indiscrezioni filtrate ieri da Bruxelles, inserendo una clausola che prevede la possibilità per il comandante di Irini di chiedere il riposizionamento delle navi nel caso dovesse ritenere che la missione rappresenti un incentivo per le organizzazioni criminali per aumentare le partenze sfruttando la presenza dei mezzi europei al largo delle coste libiche. Il cosiddetto pull factor attribuito più volte in passato anche alla missione Sophia e alle navi delle ong, ma mai dimostrato.
Il mandato di Irini durerà un anno e sono previste verifiche ogni quattro mesi.
* Fonte:
il manifesto[1]
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