La caccia ai profughi siriani, la doppia vita dei riservisti greci

by Valerio Nicolosi * | 7 Marzo 2020 9:09

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Ieri nuovi scontri: i turchi hanno coperto i rifugiati con fumo e droni, la polizia greca li ha respinti

EVROS. Le accuse e le provocazioni tra Turchia e Grecia non si fermano e ogni giorno il fuoco incrociato è quello dei lacrimogeni ma soprattutto quello della propaganda, che tenta di colpire l’altra sponda. Ieri mattina la Turchia sembra abbia incentivato i profughi siriani a rompere la rete di confine.

Le forza speciali di Ankara hanno usato una coltre di fumo per proteggere l’azione e dei droni per coordinarla. Le forze greche sono riuscite a bloccare il tentativo ma ci sono stati momenti forti di tensione. Dopo un’ora i siriani sono stati spostati dalle forze turche circa 200 metri più indietro, in una tendopoli improvvisata.

Dalla parte greca le urla dei profughi arrivano molto nitidamente, qualche migliaio di persone è radunato senza potersi muovere in entrambe le direzioni: la Grecia non ha intenzione di aprire la frontiera e i turchi non accetteranno il loro respingimento. Uno stallo di cui i profughi pagano lo scotto.

«È incredibile come la Grecia sia impazzita all’improvviso, queste terre sono sempre state accoglienti», ci racconta Valantis Pantsidis, avvocato penalista che difende i migranti una volta passato il confine. «È sempre stata una zona di passaggio e non ci sono mai stati problemi con la popolazione. Dall’altra parte, oltre il confine, noi andiamo spesso anche solo per prendere un caffè».

Dopo il colpo di stato fallito in Turchia e la conseguente rappresaglia contro i gulenisti, Valantis ci racconta che tantissimi turchi hanno attraversato illegalmente il confine per chiedere asilo: «Insegnanti, giudici, dipendenti pubblici e tante altre persone sono state costrette a scappare e sono venute qui, passando come fanno da anni siriani, afghani e iracheni», aggiunge il penalista greco.

Ora però il clima sembra essere cambiato, nella popolazione si è risvegliato un sentimento nazionalista che a quanto pare è rimasto dormiente per anni: «In Grecia il servizio militare è obbligatorio – ci racconta – e quando si finisce si ha la possibilità di restare tra i volontari della Guardia nazionale e continuare il proprio addestramento di tanto in tanto, in base alle proprie disponibilità. Si ha anche un’arma in dotazione ma ovviamente non la si può usare senza autorizzazione». Un gruppo di riservisti che nonostante non sia stato richiamato in servizio è possibile vedere in giro nei paesi e nei bar.

«Entrare in un bar e vedere i fucili poggiati al muro vicino ai tavolini dove le persone chiacchierano è una grande sconfitta dello stato di diritto ma in questo il governo ha una grande responsabilità: quella di utilizzare una propaganda nazionalista, come se ci fosse un’invasione in corso», chiosa il penalista.

Uno di loro, dei riservisti non richiamati dalla Guardia nazionale, fa il tassista di giorno e il cacciatore di migranti la notte. Georgos (nome di fantasia) ha capelli corti e barba fatta da poco: «Stanotte niente migranti, la caccia è andata male», e lo dice con un sorriso amaro, dispiaciuto.

Nella sua doppia vita fa diverse cose, la sua famiglia ha delle attività commerciali nel paese, lui è una sorta di insospettabile. Quando lavora è gentile e affabile, tratta i clienti in modo cortese. Un Dottor Jekyll che al tramonto si prepara per diventare il malvagio Mister Hyde, a caccia di migranti. «Andiamo in tre, ci disponiamo in un punto della riva del fiume dove spesso passano i migranti. Da li controlliamo la situazione e se vediamo che è tutto tranquillo ci spostiamo».

Quel punto del fiume ha molto verde attorno e le sterpaglie sono un riparo naturale sia per i “cacciatori” che per i “cacciati”. L’unica differenza tra loro è la condizione di necessità: chi scappa da guerra e fame e chi gioca a fare il cowboy di frontiera, calpestando sterpaglie e diritti umani.

«I nostri visori a infrarossi ci permettono di vederli anche al buio, così li circondiamo senza che nemmeno se ne accorgano. All’improvviso scatta l’azione, li blocchiamo, li mettiamo pancia a terra e con le mani legate in modo che non possano liberarsi. Gli togliamo i telefoni e li bruciamo dopo averli lasciati a terra per un po’».

Il sorriso di Georgos non è più amaro e ci mostra i video di quello che ha appena descritto. I lineamenti dei profughi sono tipici dell’etnia hazara, quindi afghani. Sono impauriti al punto di non parlare mentre un compagno di Georgos si avvicina con il telefonino e la luce per riprenderli in faccia. Gli occhi mostrano il terrore, la paura di essere rimandati indietro o messi in qualche centro di detenzione in Grecia.

«Poi chiamiamo la polizia e se la vedono loro», chiosa in modo sbrigativo Georgos, come se passata l’eccitazione dall’azione non ci fosse più niente d’interessante da raccontare. Tra quelle sterpaglie, cercando bene, si trova anche la tomba dell’Europa, morta sotto gli anfibi di Georgos e dei suoi compagni, che hanno mano libera d’agire contro ogni diritto internazionale e umanitario.

* Fonte: Valerio Nicolosi, il manifesto[1]

 

ph by Melting Pot Europa

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