Il presidente turco vola a Bruxelles, ma prima blocca i profughi

by Carlo Lania * | 8 Marzo 2020 10:01

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Recep Tayyip Erdogan ha ordinato alla sua guardia costiera di bloccare i gommoni di migranti che provano ad attraversare l’Egeo diretti in Grecia. Una settimana esatta dopo aver «aperto le porte» a migliaia di disperati, adesso il presidente turco decide di chiuderne almeno una. Mascherata come al solito come un’iniziativa umanitaria («per evitare tragedie umane», ha spiegato) la mossa potrebbe essere in realtà solo un segnale di disponibilità al dialogo inviato da Erdogan all’Unione europea che – nonostante alcune divisioni esistenti tra gli Stati -gli ha fatto capire di essere pronta a cedere alle sue richieste. Almeno quelle economiche.

Domani Erdogan sarà a Bruxelles per «una giornata di lavoro», come spiegava ieri una nota della presidenza turca. Sarà l’occasione per verificare se il ricatto messo in piedi sulla pelle dei migranti avrà portato o meno i suoi frutti. Che Erdogan vada a battere cassa non ci sono infatti dubbi, tanto che quando mercoledì la commissione europea ha annunciato uno stanziamento di 700 milioni di euro in aiuti alla Grecia, non ha fatto nulla per nascondere il suo disappunto accusando Bruxelles di «ipocrisia» per il sostegno dato ad Atene «ignorando – ha detto – le richieste della Turchia legate ai 3,7 milioni di profughi siriani sul suo territorio».

E’ solo questione di tempo, ma è chiaro quindi che Ankara potrebbe averla spuntata. L’Europa infatti recita la parte di chi non accetta cedimenti, ma sa bene di essere incapace di gestire una crisi che potrebbe rivelarsi peggiore di quella del 2015. L’Ue «respinge fortemente l’uso della pressione migratoria a fini politici», è scritto nel documento finale del vertice dei ministri degli Esteri che si è tenuto venerdì a Zagabria. Nel quale, però, ci si affretta anche a riconoscere «l’accresciuto onere e i rischi migratori che la Turchia sta affrontando».

Il problema adesso è stabilire la cifra, quanti soldi sono necessari per accontentare il presidente turco. Nei mesi scorsi Erdogan aveva chiesto un altro miliardo di euro in aggiunta ai sei già incassati sulla base dell’accordo del 2016. Somma che oggi però potrebbe non bastare più. E comunque ben distante dai 500 milioni che, stando ad alcune indiscrezioni circolate ieri, Bruxelles sarebbe disposta a mettere sul piatto, seppure come possibile prima tranche. Con, va detto, la contrarietà di alcune capitali. Mentre infatti i paesi dell’Est e la Germania sarebbero propensi a pagare, maggiori resistenze arriverebbero da Francia e Grecia. «L’Ue non si piegherà ai ricatti della Turchia e i suoi confini resteranno chiusi ai migranti nonostante la pressione di Ankara», ha affermato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian.

Più difficile, anche se non impossibile, infine, la partita che Erdogan sta giocando sul piano politico. Messe da parte le ambizioni di entrare nell’Ue, e accantonata anche la richiesta di visti per la libera circolazione dei turchi in Europa, da Bruxelles Erdogan vorrebbe ora soprattutto un aiuto per la creazione di una no-fly zone nella regione di Idlib, in Siria, e per la costruzione di una zona cuscinetto al confine turco-siriano dove trasferire almeno una parte dei profughi che oggi si trovano in Turchia. Sul primo punto va registrata un’apertura da parte di Josep Borrel: «Non la escludo » ha detto due giorni fa l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, aggiungendo però che «noi non abbiamo la capacità di mettere in atto una zona di esclusione aerea in Siria».

Per quanto riguarda i migranti e gli scontri di questi giorni al confine, sia Erdogan che il premier greco Kyriakos Mitsotakis concordano nel considerare «morto» l’accordo siglato nel 2016 dall’Ue con Ankara. Stando a quanto riferito dalla Bbc online, anche ieri la polizia greca ha sparato gas lacrimogeni e usato cannoni ad acqua per respingere i tentativi di sfondare le reti di separazione nei pressi del posto di confine di Pazarkule. I migranti hanno risposto con il lancio di sassi. Le autorità greche hanno inoltre accusato la polizia turca di aver lanciato gas lacrimogeni contro i propri agenti. E un’ulteriore prova del clima che circonda le migliaia di disperati che cercano di arrivare in Europa sono le parole del ministro greco per l’Immigrazione Notis Mitarachi che ieri ha annunciato la creazione di due nuovi centri chiusi dove accogliere duemila migranti che si trovano sulle isole. L’assistenza dello stato durerà però al massimo trenta giorni: «Poi – ha chiarito Mitarachi -dovranno lavorare per guadagnarsi la vita».

* Fonte: Carlo Lania, il manifesto[1]

 

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