Covid-19. Kenya, la polizia spara sulla folla in fila ai supermercati

Covid-19. Kenya, la polizia spara sulla folla in fila ai supermercati

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Rispetto all’Europa sta accadendo un fenomeno contrario le scorte non si esauriscono perché semplicemente le persone non possono permettersi di comprare cibo per 15/20 giorni

Nel 1859 Charles Dickens scrisse Tale of two citiesIl racconto di due città: «Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era davanti a noi, e futuro non avevamo, diretti verso il paradiso, eravamo incamminati nella direzione opposta».

È il racconto di due città contenute nello spazio di una sola. Questa città ha tanti nomi e tante latitudini. La cronaca di Uganda, Kenya e Sudafrica spiega cosa succede dentro le viscere delle principali città di questi paesi.

A Nairobi, Kampala, Johannesburg alle prese con il Covid-19 sono state varate restrizioni nei movimenti, chiuse attività. E un po’ come in Europa c’è una parte di queste città che ha fatto scorte di cibo e vaga tra il salotto, il giardino, la cucina, la lettura di un libro e la visione di una serie in tv e un’altra parte, la maggioranza, che come casa ha una stanza divisa in due da un lenzuolo che separa, per così dire, la zona giorno dalla zona notte.

Da casa deve uscire perché deve andare a comprare l’acqua, non può fare scorte, anche potendo, perché non ha un frigorifero e di giorno il tetto di lamiera rende l’aria irrespirabile. Ma più di tutto non ha risparmi, vive di redditi quotidiani senza i quali non vive. Il virus sta semplicemente rendendo evidente quanto i missionari, gli studiosi e le ong raccontano da 30 anni.

In Kenya ci sono stati assembramenti davanti ai supermercati che sono stati dispersi dalla polizia con gas lacrimogeni e pallottole di gomma, ma rispetto all’Europa sta accadendo un fenomeno contrario le scorte non si esauriscono perché semplicemente le persone non possono permettersi di comprare cibo per 15/20 giorni.

Dove lo metterebbero? Come racconta Alice Wambui proprietaria di un piccolo negozio: «Ho troppe scorte e non abbastanza clienti». Grande calca di persone anche alle fermate degli autobus dove i matatu hanno inizia a far rispettare la social distance facendo salire meno passeggeri.

Al momento i casi confermati in Kenya sarebbero 38 e c’è chi, come il noto rapper Charles Lukania, sul Guardian racconta di temere una ripetizione dei disordini che sono seguiti alle elezioni del 2008, quando il governo ha imposto blocchi a causa della violenza etnica.

Ma, dice, «se ci manca il cibo, le persone inizieranno a entrare nei negozi. Dopo le elezioni la gente era rimasta a casa, due o tre settimane senza lavoro. Così hanno iniziato a saccheggiare».

I gruppi per i diritti umani hanno condannato «l’uso eccessivo e sproporzionato della forza» da parte della polizia keniana, ma le linee guida emanate dal governo sul coprifuoco affermano che la polizia può usare «una forza proporzionata quando i mezzi non violenti sono inadeguati per raggiungere gli obiettivi del coprifuoco».

Il segretario del ministero della salute Mutahi Kagwe ha osservato: «Se vogliamo salvare i keniani ed evitare le esperienze in altri paesi, dobbiamo rispettare la social-distance e rimanere a casa». Cosa che tutti vorrebbero fare, se potessero.

* Fonte: Fabrizio Floris, il manifesto



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