Ungheria, di freddo si muore

Ungheria, di freddo si muore

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Ogni inverno si rinnova in Ungheria il dramma dei senzatetto esposti al freddo. A Budapest i sottopassaggi della metropolitana danno un po’ di riparo ma si tratta di soluzioni temporanee comunque non gradite dalle autorità del paese che vietano per legge l’occupazione di suolo pubblico da parte dei poveri che non hanno casa. Intanto il freddo miete vittime e stime recenti parlano di un centinaio di persone morte, a partire dallo scorso settembre, soprattutto tra i senzatetto, per i rigori del clima.

Quando di notte i sottopassaggi sono chiusi, i senza dimora si sistemano sotto portici o dovunque possa esserci una parvenza di riparo. La loro presenza è ben visibile anche nel centro della capitale: materassi di gommapiuma messi uno sopra l’altro, vecchie coperte e trapunte, buste o valigie logore che contengono i pochi averi di queste persone. Gli stessi spesso uniscono o per lo meno avvicinano i loro giacigli per provare a scambiarsi un po’ di calore e insieme un po’ di vino di pessima qualità contenuto in bottiglioni di plastica. Alcuni, per racimolare un po’ di soldi, fanno oggetti con le lattine della birra o di altre bevande; di solito si tratta di posacenere, ma la carità non sembra essere particolarmente diffusa, un po’ come in tante altre grandi città d’Europa e non solo. Spesso, alla loro vista, i sentimenti suscitati sono di fastidio o di indifferenza; quella di chi si è ormai abituato a questo triste spettacolo. Ci sono comunque le organizzazioni che si occupano della condizione dei senzatetto che vengono da esse assistiti. Di giorno distribuiscono pasti caldi, di notte, specie durante la stagione fredda, le loro unità mobili di crisi fanno il giro della città per prestare soccorso a chi ne ha bisogno, a chi si è ferito o ha la febbre o ha fame. Ci sono degli alloggi approntati dalle autorità o gestiti da queste organizzazioni, ma molti senzatetto li evitano: hanno paura di essere trattati male, di trovarvi dei malintenzionati. Del resto, però, il bivacco nei luoghi pubblici, strade, piazze e simili è vietato. Un emendamento alla Costituzione del 2012 dichiara perseguibile per legge l’accattonaggio e la permanenza dei senzatetto in tali luoghi della città. Per questo molti hanno preferito trovare rifugio ai margini della città, per esempio nelle zone alberate che costeggiano la lunga strada che conduce all’aeroporto. Inutile dire che neanche lì sono al sicuro e le loro capanne fatte con mezzi di fortuna possono essere abbattute in qualsiasi momento.

I volontari di queste organizzazioni caritatevoli sostengono che spesso, in un modo nell’altro, si riesce a far leva sul senso di umanità dei poliziotti, ma criticano i fondamenti di queste misure. Certo, la presenza di persone senza dimora in città pone dei problemi di igiene pubblica per motivi che è del tutto superfluo specificare, ma va da sé che la gestione del problema e, prima ancora, l’approccio a esso, devono essere basati su presupposti solidali e non capaci di incoraggiare forme di insofferenza sociale che sono proprie di chi pensa che un senzatetto è tale per sua scelta, perché non ha voglia di lavorare e di integrarsi. Ma tornando ai rigori invernali vi è da dire che non è necessario essere dei senzatetto per morire di freddo: intervistato da Euronews, Endre Simó, fondatore di una ONG attiva sul fronte umanitario, sostiene che questa triste casistica riguarda anche anziani e individui malati che vivono in solitudine e che, troppo cagionevoli, non riescono nemmeno a procurarsi un po’ di legna da ardere. Ancora, secondo recenti stime, dal 1990 a oggi, più di 8.000 persone sono morte per il freddo in Ungheria.

 

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